sabato 5 novembre 2022

La strage nascosta del fentanyl, tra legalità, dipendenza e overdosi


Il fentanyl è un farmaco oppiaceo derivato dalla morfina, un alcaloide estratto dal papavero da oppio. 
Ha una potenza 30-80 volte superiore alla prima, ma un'effetto più breve (circa un'ora contro le tre della morfina). 


Il fentanyl come farmaco

ll fentanyl, come farmaco,  viene generalmente somministrato prima o dopo gli interventi chirurgici, come anestetico o come sedativo/analgesico post-operatorio, e nella terapia del dolore cronico di origine tumorale.
E' disponibile in formulazioni farmaceutiche adatte alla somministrazione per via orale, per via inalatoria, per via transdermica (attraverso l'applicazione di un cerotto transdermico) e per via parenterale.
Il fentanyl svolge la sua azione antidolorifica interagendo con i recettori oppioidi μ. Questi recettori sono localizzati lungo le vie del dolore del nostro organismo e il loro compito è proprio quello di modulare la neurotrasmissione degli stimoli dolorosi. Più nel dettaglio, quando tali recettori vengono stimolati, si ha l'induzione di analgesia. Il fentanil è in grado di attivarli esercitando così la sua potenze azione analgesica.


La nascita del fentanyl

Il fentanyl fu sintetizzato dal dottor Paul Janssen nel 1960, grazie all'avvenuta sintesi, alcuni anni prima, della petidina. Janssen riuscì infatti a sviluppare il fentanyl analizzando alcune sostanze strutturalmente analoghe e correlate alla petidina, dotata anch'essa di attività oppioide. 
A metà degli anni '90 del XX secolo il fentanyl ha visto la sua prima comparsa per le cure palliative con l'introduzione nella pratica clinica del cerotto a base di fentanyl, denominato Durogesic
Nel decennio successivo è stato introdotto il primo "lecca-lecca" a base di fentanyl, una formulazione oromucosale chiamata Actiq, e successivamente delle compresse orosolubili denominate Fentora. Grazie alla possibilità di rilascio controllato tramite cerotti transdermici, il fentanyl è divenuto attualmente l'oppiaceo sintetico più ampiamente utilizzato nella pratica clinica.


Il fentanyl come droga

l fentanyl è una delle droghe più acquistate sul mercato clandestino delle droghe nel dark web. La droga è acquistata prevalentemente in Cina, dove si situa il maggior numero di fornitori di oppiodi sintetici.
Quando lo assume, un’ondata di euforia che porta via ogni dolore fisico, poi una lunga calma sonnolenta che sprofonda nell’atarassia e infine, nuovamente, nella depressione, nell’ansia e nell’astinenza.
L’effetto dura solo una o due ore, i ragazzi allora lo rinforzano prendendo altre sostanze, come gli ansiolitici. Man mano che la dipendenza avanza il ciclo del fentanyl diventa sempre più rapido e costringe a farsi di continuo, praticamente ogni ora, per evitare le fitte di dolore alle gambe, le vampate di calore e i brividi tipici dell’astinenza. I rischi così aumentano, poiché la sostanza è molto potente e difficile da gestire. In Italia questa versione del fentanyl da strada che domina le piazze dell’Est è stata marginalizzata da quella più pura del mercato in rete.

Le cifre dei morti negli Stati Uniti

Le autorità stimano che, in seguito alle restrizioni sulle prescrizioni di oppioidi, nel 2015 l'assunzione di fentanyl e altre simili droghe abbia causato 9.580 morti negli Stati Uniti, un aumento del 73% rispetto al 2014. 
Si stima che il numero di morti per overdose negli Stati Uniti sia stato intorno ai 59.000 nel 2016 e di 120.000 in due anni (2017-2018), mentre nel 2010 le morti per overdose da oppioidi erano 21.088.
Nel 2019 il numero dei morti è stato di 70000, passando a 92000 nel 2020 e a 107000 nel 2021.


I morti in Europa

In Europa i morti da fentanyl sono circa 8.000 ma in Italia l’entità del fenomeno stenta ad emergere, anche perché i casi sono difficili da individuare. 
La “vittima zero”, un trentenne di Milano, fu scoperta solo per la testardaggine di Marica Orioli, che dirige il laboratorio di tossicologia forense dell’università di Milano: «Aveva comprato droga sul web».

venerdì 7 ottobre 2022

L'orto, o meglio il giardino: luogo di nutrimento, fisico e mentale

L'orto: un giardino fonte di armonia e nutrimento (soprattutto per la mente)


L'orto, o meglio il giardino, è uno spazio dinamico, in continua evoluzione. E' un ambiente di colori, odori, sapori, in cui più specie vegetali convivono, regalandoci cibo per vivere.
E' un ambiente di lavoro, ma anche di divertimento, sogno, pace interiore.
Essendo così importante e mistico, va trattato con le dovute accortezze: se troppo stressato rischierà di perdere energia, se poco sfruttato potrà diventare popolato de erbe non volute.


La progettazione del giardino

Il giardino, prima di prendere forma, va pensato: le zone di camminamento verranno pressate dai nostri piedi e tenderanno ad essere poco adatte alle coltivazioni; andrà pensato anche come irrigare e in che modo, e come realizzare i "bancali" e quanto farli grandi.
Dopo un'attenta supervisione si potrà partire con la realizzazione delle zone che non verranno più calpestate e in cui verranno innestate le piante, appunto i bancali.
Intorno all'orto buon consiglio è mettere a dimora piante officinali (salvia, rosmarino, lavanda), in grado di proteggere da insetti e roditori poco voluti. Nell'orto stesso si possono mettere alcune varietà utili ad attirare insetti amici e facilitare l'impollinazione.
In questa guida vi spiego come creare un orto da zero su terreno incolto, senza mezzi agricoli: https://burgibill.blogspot.com/2017/03/orto-permaculturale-da-zero-senza-zappa.html?m=0.


Un laboratorio di sinergia

La consociazione delle piante è fondamentale. Nell'orto "sinergico", in cui più varietà si aiutano e migliorano la qualità del suolo, il giardino diventa a lungo termine, idealmente perenne. On line esistono molte tabelle sulle consociazioni favorevoli.
Altro aspetto importante è il benessere delle piante. Se esse avranno spazio, terreno e acqua adatti godranno generalmente di buona salute. Un aiuto ulteriore è dato dai macerati, vale a dire miscele di acqua e piante particolari lasciate a macerare in essa (con quantità e tempistiche variabili). Ortica e equiseto so le specie più adatte a creare il proprio macerato, ma non sono le uniche. Anche per questo argomento il web è pieno di informazioni.
Ultimo aspetto da considerare, ma non per importanza, è la copertura del suolo. In natura il terreno non è mai esposto direttamente agli agenti atmosferici: rischierebbe l'erosione e la perdita di fertilità. Anche il nostro giardino non potrà avere il terreno "nudo"; il rimedio è la pacciamatura, ovvero l'utilizzo di paglia o fieno a terra (attorno alle nostre piantine). In questo modo pioggia, sole e gelo non intaccheranno il suolo, la cui struttura potrà migliorare grazie all'umidità che si genererà sotto la pacciamatura.



I semi: la vita parte da loro

E poi ci ci sono i semi, ovvero le madri delle nostre piante. Queste vivono per "andare in semenza", per generare figli e permettere la continuazione della specie e della vita. E' buona prassi convivere con le nostri piante in semenza; ed è fondamentale raccogliere i semi, custodirli e utilizzarli creando le proprie varietà e la propria banca del seme.
I semi vanno conservati in ambiente asciutto e lontano da sbalzi di luce e temperatura. Dovranno essere asciutti e ben secchi al momento dell'archiviazione. Il loro uso potrà poi essere direttamente a terra o in vaso. 


La semina: un momento magico

Per la semina è di fondamentale importanza la luna: alcune specie vanno seminate con luna crescente (quelle di cui si mangia il frutto), altre con luna calante (quelle di cui si mangiano le foglie). 
I periodi si semina sono tipicamente la primavera; tuttavia numerose specie tardive o autunnali vogliono la semina a fine estate.
E' consigliabile creare una piccola zona serra per le piantine in vaso, in una zona riparata e al sicuro da inconvenienti.


domenica 17 luglio 2022

La droga nella guerra (negli ultimi cent'anni): un aiuto prezioso per superare i limiti umani

La Prima Guerra Mondiale e la cocaina

Sul fronte italiano e tedesco della Prima Guerra Mondiale era consuetudine dare una razione di cocaina (sul fronte italiano in particolare grappa e cocaina), per gli effetti sedativi del dolore e stimolanti all’azione che il mix dava al milite. 
La cocaina soprattutto è stata per molto vista come droga d’elezione per stimolare azioni militari audaci e impavide per i suoi effetti energizzanti, riduzione del senso di fatica, entusiasmo con limitazione del senso di paura, aumento di fiducia, concentrazione e propensione al rischio (anche sconsiderato). 

I nazisti e le anfetamine


La droga più usata dai nazisti fu l'anfetamina
I soldati di Hitler, il 14 maggio 1940, conquistarono l'Olanda: fu determinante la loro capacità di combattere senza sosta, giorno e notte, senza dormire. Questa resistenza sarebbe stata garantita dal Pervitin, un "farmaco militarmente prezioso" usato regolarmente anche dal generale Rommel e dallo stesso Hitler.
Il Pervitin fu creato e sviluppato nel 1937 dal medico Fritz Hauschild, rimasto colpito dagli straordinari effetti delle benzedrine sugli atleti americani che avevano partecipato alle Olimpiadi di Berlino nel 1936. 
All'inizio della Seconda Guerra Mondiale veniva distribuita ai soldati dai medici militari. Secondo Der Spiegel, più di 35 milioni di dosi di Pervitin da 3 milligrammi furono confezionate per le forze di terra e aeree tedesche tra l'aprile e il luglio 1940. Per i loro uso massiccio sui tank tedeschi e austriaci le tavolette di Pervitin furono soprannominate Panzerschokolade, "cioccolato per carri armati".


Le anfetamine nella Seconda Guerra Mondiale 

L'esercito giapponese usò molte le metanfetamine tra il 1939 e il 1945.
Nel dopoguerra molti soldati ebbero problemi di dipendenza e faticarono a tornare a una vita libera dalla droga.
Gli alleati usarono invece un mix di anfetamineovvero un inalatore di Benzedrine. Gli statunitensi lo impiegarono per un motivo psicologico: non volevano che i propri piloti si sentissero svantaggiati rispetto ai tedeschi. Tuttavia il ricorso alle anfetamine non fu indolore: i piloti alleati accusarono effetti collaterali come forte irritabilità e incapacità di incanalare la concentrazione. Molti militari diventarono dipendenti da queste sostanze e continuarono ad abusarne anche a guerra finita.


Le droghe della guerra in Vietnam

L'eroina, la marijuana e altre droghe furono molto usate dai i soldati americani nel conflitto in Vietnam (1955 - 1975). Si stima che tra il 10 e il 15 per cento dei soldati ne facessero uso costante. Anche qui, per molti ci furono problemi di dipendenza: il presidente Nixon fu costretto a finanziare la prima grande espansione di programmi per il trattamento delle tossicodipendenze.


I tempi odierni e il Modafilin: ottimo per non dormire mai 


Nei tempi moderni un farmaco usato a livello militare è il Modafilin.
Il Modafilin è uno stimolante, creato per curare la narcolessia e inserito nella lista "proibita" delle sostanze dopanti.
E' attualmente testato per prolungare il numero di ore di veglia delle truppe (si arriva a 48 ore senza dormire). Fu dato per la prima volta ai piloti dell'Air Force americana nel 2003 in occasione dell'invasione in Iraq e si lavora ora alla struttura della molecola per prolungare ulteriormente la capacità di rimanere svegli.


I guerrieri dell'Isis e il Captagon

C'è un motore invisibile che toglie ai terroristi dell'Isis anche l'ultimo scampolo di umanità risparmiato da fanatismi e ideologie: si chiama Captagon.
Molto spesso viene usato prima del momento in cui compiono una strage. 
La "droga della Jihad" è un cloridrato di fenetillina, un composto di anfetamina e altre sostanze stimolanti da decenni diffuso nei Paesi del Golfo, e ora diffusosi in modo capillare tra chi combatte la "Guerra Santa".
Gli effetti della droga sono la perdita di giudizio, la resistenza alla fatica, l'euforia e l'abbandono di ogni inibizione. Chi assume il Captagon può non mangiare o dormire per giorni, ed è pervaso da un senso di onnipotenza che fa sentire invincibili. Siringhe con tracce di Captagon - si può anche iniettare - sono state trovate nella casa di uno degli attentatori di Parigi e la stessa droga era nel sangue di uno dei terroristi di Sousse, Tunisia.

martedì 12 luglio 2022

I curdi (II° parte): storia di infiniti sfruttamenti e tradimenti

La promessa non mantenuta dopo la Prima guerra mondiale

Dopo la Prima guerra mondiale (e il conseguente smembramento dell’Impero ottomano nei vari paesi del Medio Oriente), era stata prevista anche la creazione di un Kurdistan per il popolo curdo
I 14 punti di Wilson e la promessa dell’autodeterminazione dei popoli come principio fondamentale del nuovo ordine mondiale, accesero le speranze indipendentiste curde. Queste promesse, almeno in parte, sembrarono realizzarsi nel trattato di Sèvres, l’accordo di pace firmato il 10 agosto del 1920 tra Francia, Gran Bretagna, Italia, Grecia, Giappone e Impero Ottomano, quest’ultimo uscito sconfitto dalla guerra.
Ma in seguito alla guerra d’indipendenza turca, dopo un anno e mezzo di scontri, nel 1923 Ataturk trionfò, scacciando le potenze straniere e abolendo il Sultanato. Come primo presidente della Turchia, firmò un nuovo trattato di pace, il Trattato di Losanna, nel 1924.
Ataturk riuscì a ottenere la rimozione di qualsiasi riferimento al Kurdistan indipendente, delimitando i confini della Turchia che ancora oggi conosciamo in cambio del riconoscimento delle colonie occidentali nelle ex-province ottomane.


Lo sfruttamento curdo durante la Seconda guerra mondiale e gli anni '70

Dopo la Seconda guerra mondiale, i curdi furono più volte sfruttati dagli Stati Uniti nell’ambito della Guerra fredda.
La peculiare condizione del popolo curdo, presente in quattro grossi paesi mediorientali e pronto ad accettare l’aiuto e le armi di chiunque si fosse reso disponibile, lo rendeva lo strumento perfetto di varie operazioni di destabilizzazione compiute nel corso della Guerra fredda nella regione. Le conseguenze del fallimento o dell’abbandono di queste operazioni, però, furono subite esclusivamente dai curdi.

Negli anni Settantagli Stati Uniti sostennero un piano dell’Iran (che al tempo era un paese alleato), per armare i curdi iracheni contro il regime di Saddam Hussein. L’obiettivo era di indebolire l’esercito iracheno, ma non abbastanza da sconfiggerlo, per non rischiare che anche i curdi iraniani si ribellassero. Per tre anni Stati Uniti e Iran sostennero la rivolta curda in Iraq, con migliaia di perdite curde, ma nel 1975 Iran e Iraq trovarono un accordo. Il sostegno americano e iraniano ai curdi si interruppe improvvisamente, e i curdi si trovarono da soli ad affrontare la repressione di Saddam Hussein: migliaia di persone furono uccise.


Gli anni ottanta e novanta: storie di innumerevoli genocidi


Negli anni Ottanta
in Iran aveva preso il potere una dittatura teocratica. Gli Stati Uniti, in opposizione all'espansione dello stato iraniano, appoggiarono il regime di Saddam Hussein. Ne scaturì una guerra in cui Saddam mise in atto un genocidio contro la popolazione curda, che aveva ripreso a ribellarsi. Nella seconda metà degli anni Ottanta le forze irachene uccisero tra le 50 mila e le 180 mila persone curde. Vennero usate armi chimiche; per esempio nella città di Halabja nel 1988 furono uccise circa 5.000 persone, in gran parte civili.


Negli anni Novanta gli Stati Uniti entrarono in guerra contro l’Iraq, nella Prima guerra del Golfo, per difendere il Kuwait invaso da Saddam. Le forze americane spinsero rapidamente l’esercito iracheno fuori dal Kuwait. Dopo la dichiarazione dell'allora presidente americano Bush («L’esercito iracheno e il popolo iracheno [devono] prendere in mano la situazione e obbligare Saddam Hussein, il dittatore, a ritirarsi», i curdi iracheni iniziarono una grande rivolta armata sperando nell’intervento americano. Migliaia di curdi furono uccisi dalla brutale repressione irachena, senza che nessuno si muovesse in loro soccorso.


La storia recente: dal tradimento americano a quello della NATO

Nella storia recente, meno di un decennio fa (precisamente nel 2014) il gruppo terroristico dello Stato Islamico (ISIS) conquistò la gran parte di Siria e Iraq.
L’amministrazione americana (con Obama presidente) fece ricorso ai curdi che divennero i soldati sul campo: per anni furono i curdi la forza principale che combatté e infine sconfisse l’ISIS sul campo, armati dagli Stati Uniti e sostenuti dai bombardamenti dell’aviazione americana.
I curdi siriani riconquistarono all'ISIS ampi territori nel nord della Siria e iniziarono a governarli in sostanziale autonomia. Speravano di avere l’appoggio degli Stati Uniti. 


Dopo la sconfitta dell’ISIS, gli Stati Uniti mantennero un contingente di circa 1.000 soldati nella regione, per sorvegliare l’area ma anche, indirettamente, per proteggere i curdi.
L’alleanza di fatto tra curdi e Stati Uniti era però un problema per il presidente turco Erdogan, che temeva che la creazione di un’entità politica curda forte nel nord-est della Siria, giusto al confine con la Turchia, avrebbe creato sommovimenti anche tra i curdi turchi, con cui Erdogan è in guerra da anni.
Nel 2019, in seguito all'elezione di Trump, Erdongan propose la creazione di una “safe zone”, una specie di zona cuscinetto, nel nord della Siria, la cui sicurezza sarebbe stata garantita dall’esercito turco.
Trump accettò e la Turchia invase il nord-est del paese, dove si trovavano le forze curde.

L’ultimo tradimento è di questi giorni: alcune decine di dissidenti potrebbero essere estradati in Turchia dalla Finlandia e dalla Svezia, perché accusati di essere terroristi o fiancheggiatori del terrorismo. Il tutto in cambio dell'annessione alla NATO di Finlandia e Svezia

sabato 9 luglio 2022

I curdi (I° parte): gli ultimi cento anni del più grande popolo senza stato


I curdi si stima siano tra i 30 e i 40 milioni: si tratta del più grande popolo al mondo senza nazione, sparso su un vasto territorio montagnoso tra gli odierni Turchia, Siria, Iran e Iraq.
La storia dei curdi è un insieme confuso di discriminazione, persecuzione e alleanze tradite, che ne hanno decretato la situazione attuale.
Il Kurdistan infatti, inteso come “Paese dei curdi”, non esiste su alcuna mappa ufficiale.
Le persone vivono divise principalmente tra Turchia (20%), Iraq (15-20%), Siria (10%) e Iran (8%). Non sono né arabi, né persiani, né turchi. Sono la quarta etnia del Medio Oriente. Oggi in maggioranza musulmani sunniti, parlano una lingua di origine indoeuropea.
Con Kurdistan ci si riferisce a un’area geografica per lo più montuosa, vasta oltre 450 mila chilometri quadrati, compresa entro i confine dei quattro paesi sopra citati. Per questo si parla di Kurdistan turco, iracheno, siriano (Rojava) e iraniano. Se fosse unito politicamente, sarebbe tra gli stati più ricchi della regione, considerate le materie prime di cui dispone, dal petrolio alle risorse idriche.


La nascita della questione curda

La nascita della “questione curda” coincide con il tramonto dell’Impero Ottomano e la fine della Prima guerra mondiale. Alla spartizione della Sublime Porta ad opera di Francia e Regno Unito (accordo di Sykes-Picot, 1916), è seguito lo smembramento dei curdi tra i territori delle attuali Turchia sudorientale, Siria nordorientale, Iraq settentrionale e Iran occidentale.
A dare speranza alle aspirazioni nazionaliste di questo popolo, sono state paradossalmente le stesse potenze alleate quando, nel 1920, hanno siglato il Trattato di Sèvres, con cui si definivano i nuovi confini della Turchia. Si tratta dell’unico documento giuridico-politico internazionale che abbia previsto la creazione di uno stato curdo indipendente.
Questa ipotesi è stata fortemente osteggiata dal governo nazionalista guidato da Mustafa Kemal Atatürk. L’accordo è stato così stralciato e sostituito dal Trattato di Losanna (1923), che ha cancellato completamente il riconoscimento delle rivendicazioni curde.


La lotta curda per l'indipendenza

I primi a lanciarsi nella lotta armata per l’autonomia sono stati i curdi iracheni, sotto la guida del clan Barzani. Iniziata negli anni ’30, ha visto una svolta negli anni ’70 ed è culminata nel 1991 con l’istituzione del Kurdistan iracheno. L’ultimo atto di questo travagliato percorso è stato il referendum per l’indipendenza del 2017.
A esprimersi a favore dell’indipendenza era stato il 92% dei partecipanti.
La nascita della regione autonoma è passata attraverso i tradimenti degli Stati Uniti e le tragedie causate da Saddam Hussein. Risale agli anni ’90 la dura repressione della rivolta curda, sostenuta dal presidente statunitense George W. Bush, da parte del dittatore iracheno, che già nel 1988 si era macchiato dell’attacco chimico di Halabja, in cui sono morti 5 mila curdi.


È del 1978, invece, la comparsa sulla scena politica turca del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk). Nato con l’obiettivo di creare una repubblica indipendente curda, è entrato ufficialmente in guerra con Ankara nel 1984.
Il suo fondatore, Abdullah Öcalan, sta scontando dal 1999 l’ergastolo a İmralı, l’isola-penitenziario al largo di Istanbul.
Il Pkk, per aver imbracciato la lotta armata, è considerato a tutti gli effetti un’organizzazione terroristica dalla Turchia, dagli Stati Uniti e, dal 2002, anche dall’Unione europea. Dopo una tregua storica, firmata nel 2013 da Öcalan e Recep Tayyip Erdoğan, attuale presidente turco, all’epoca primo ministro, la guerra interna è ripresa nel 2015.
Il cessate il fuoco è terminato a luglio di quell’anno, dopo che un attentato suicida, attribuito allo Stato Islamico, ha provocato la morte di 33 giovani attivisti curdi a Suruç, vicino al confine siriano. Il Pkk ha accusato le autorità turche di complicità e da quel momento hanno ripreso in mano le armi. La risposta di Ankara non si è fatta attendere.


I curdi e la guerra in Siria

In seguito allo scoppio della guerra siriana nel 2011, nella parte settentrionale del paese si sono creati i presupposti per la nascita della Federazione del Nord della Siria, una regione non ufficialmente riconosciuta, nota anche con il nome di Rojava, dove vivono, secondo le stime, tra 500 mila e 1 milione di curdi.
Il Kurdistan occidentale ha attirato la simpatia di diversi stati occidentali per l’esperimento politico e sociale, messo in atto dal Pyd (Partito dell’unione democratica), che si basa sulla teoria del confederalismo democratico formulata da Öcalan e che tra i sui pilastri ha l’emancipazione femminile.
Nel caos del conflitto siriano e di fronte alla presa di potere dell’Isis tra il nord-ovest dell’Iraq e il nord-est della Siria, gli Stati Uniti, nel 2014, hanno deciso di puntare sui combattenti curdi per fermare l’avanzata jihadista. A riaccendere i riflettori internazionali sulla “questione”, dunque, il loro ruolo nella lotta contro lo Stato Islamico, grazie alla quale i curdi siriani sono riusciti a ritagliarsi quell’autonomia da sempre negata.
In particolare, nel Rojava, a respingere le incursioni del’Is sono state le milizie dell’Ypg, Unità di Protezione Popolare, il braccio armato del Pyd, all’interno del quale le donne hanno giocato un ruolo decisivo, anche dal punto di vista mediatico. Per la Turchia, però, l’Ygp e il Pyd sono rami del Pkk e per questo considerati anch’essi organizzazioni terroristiche.

A causa al ritiro del contingente americano del 2019 dal Kurdistan occidentale, Erdogan ha avuto campo libero per azzerare il progetto politico indipendentista del Rojava. Questo il quadro entro il quale comprendere l’ultimo attacco sferrato da Ankara nel nord della Siria. L’operazione lampo, ribattezzata “Sorgente di pace”, ha provocato centinaia di vittime e 160 mila sfollati.
Dopo due settimane, a Sochi, su spinta del presidente russo Vladimir Putin, è stata firmata una tregua che ha ridefinito gli equilibri nella regione: alla Turchia è stata concessa la possibilità di creare una safe zone, una “zona sicura”, dove trasferire i 3,6 milioni di rifugiati siriani che Ankara ha accolto dall’inizio del conflitto in Siria, mentre i curdi, dopo essere stati abbandonati dagli Stati Uniti, hanno trovato un alleato nel dittatore siriano Bashar al-Assad.

martedì 21 giugno 2022

L'uomo e il latte (II° parte): un gioco poco sostenibile


L’impatto ambientale degli allevamenti, siano essi destinati alla produzione di formaggi o di carne, è devastante.
Il 74% delle emissioni mondiali è causato dai bovini. Questo è principalmente dovuto all'abbondanza di mucche da latte, ma anche dalla grande quantità di metano e protossido di azoto emessi da tutti gli allevamenti sia intensivi che estensivi.


L'inquinamento causato dai bovini da latte

Una bovina da latte produce 20 tonnellate all'anno di liquame, di cui 80 chili azotati.
In Italia, ogni regione ha un carico massimo di chili all'anno di azoto per ettaro, superato il quale il terreno non riuscirebbe a reggere, col rischio concreto di inquinamento della falda acquifera.
In Emilia Romagna la normativa permette un carico massimo di 340 chili di azoto all'anno per ettaro, quindi non più di quattro bovini per ettaro. Ma il limite si abbassa a 170 chili di azoto nelle zone vulnerabili, cioè con presenza di acquiferi, e negli allevamenti biologici: 2 vacche per ettaro.
Va detto che la componente azotata è utile per fertilizzare il terreno, ma se troppo elevata provoca un inquinamento delle acque con i nitrati (NO3) e dell'aria con l'ammoniaca (NH3), precursore delle polveri sottili (pm10) così insidioso da far impallidire le emissioni da traffico automobilistico.
Per ogni capo tenuto nelle stalle occorre dunque disporre di terreni sufficienti per lo spandimento, in proprietà o in affitto.
E' così che può capitare che le autobotti con letame e liquami non compiano lunghi tragitti, ma sversino più volte in appezzamenti defilati, quei poderi sacrificati per liberarsi dei liquami in eccesso.
Anche i residui farmacologici rappresentano un importante rischio. Negli allevamenti odierni l'uso di antibiotici e ormoni è molto diffuso, per motivi terapeutici ma più spesso per motivi non terapeutici quali profilassi delle malattie e incremento della crescita o della produzione dell'animale. 
Nei paesi sviluppati i farmaci usati nella zootecnia rappresentano una quota elevata del totale nazionale, ad esempio negli USA oltre il 70% degli antibiotici usati sono somministrati agli animali allevati. Una parte sostanziale dei farmaci somministrati non viene assorbita dall'animale e si disperde nelle acque tramite lo scarico dei reflui o l'uso del concime sui terreni. 
La contaminazione delle acque con agenti antimicrobici provoca un antibiotico-resistenza nei batteri, mentre la presenza di sostanze ormonali disciolte può avere effetti sulle colture e può provocare alterazioni del sistema endocrino negli esseri umani e negli animali selvatici.


Il dispendio di cibo e acqua

In estate, una mucca da latte mangia circa 70 kg di erba al giorno. In inverno mangia invece fieno, foraggio insilato e 2–3 kg di alimenti complementari. Quotidianamente, una mucca beve dai 50 agli 80 litri d'acqua.
Inoltre l'alimentazione delle mucche consiste quasi sempre nell'uso di mangimi quali cereali e leguminose, che potrebbero invece essere utilizzati direttamente dall'uomo per il suo sostentamento.
Per produrre un litro di latte occorrono 1020 litri di acqua per kg. Il paragone può essere fatto con le specie vegetali: per un chilogrammo di riso, la coltura a più alta richiesta idrica, occorrono 2500 litri di acqua; per un chilo di soia ne bastano 2145, 1827 per un chilo di grano, 1220 per un chilo di mais e 290 per un chilo di patate.


Qualche dato per capire quanto l'allevamento (non solo di vacche da latte) sia impattante sul nostro pianeta

Secondo la FAO, «il settore dell'allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggiore fattore d'uso antropico delle terre»: direttamente e indirettamente, la moderna zootecnica complessivamente utilizza il 30% dell'intera superficie terrestre non ricoperta dai ghiacci e il 70% di tutte le terre agricole. Secondo l'International Livestock Research Institute (ILRI) occupa il 45% delle terre emerse del pianeta. Per lo più le terre vengono usate per il pascolo degli animali: quasi il 29% della superficie degli Stati Uniti, oltre il 40% del territorio della Cina (più di 4 milioni di chilometri quadrati) e più del 50% della regione orientale del continente africano, sono occupati da pascoli. 
La produttività dei prati a pascolo è molto variabile: un ettaro di prateria molto ricca può sostenere un manzo per un anno, ma possono essere necessari anche 20 ettari se si tratta di prateria marginale. Un altro importante fattore d'uso delle terre è la produzione di mangime: il 33% delle terre arabili del pianeta è usato a tale scopo.
Inoltre l'allevamento prevede, per la sua realizzazione, la deforestazione. Si pensi alla foresta Amazzonica, che col tempo si sta riducendo sempre più, per l'espandersi degli allevamenti intensivi.
Ultimo fattore da considerare, ma non per importanza, è la degradazione del suolo: la continua pressione dello zoccolo provoca compattamento del terreno, mentre l'estirpazione della vegetazione effettuata dall'animale per nutrirsi provoca impoverimento della flora. Il compattamento del terreno diminuisce la capacità della terra di trattenere acqua e di rigenerarsi, mentre l'impoverimento della flora compromette la resistenza del suolo non più trattenuta dalle radici e riduce funzioni essenziali svolte dai sistemi vegetali quali l'assorbimento dell'acqua e il riciclo degli elementi nutritivi: la terra finisce così per essere sempre più esposta all'erosione del vento e dell'acqua e destinata all'isterilimento agricolo.


L'allevamento globale e i gas serra

Secondo il rapporto della FAO, nonostante l'allevamento di animali contribuisca solo limitatamente alla produzione di anidride carbonica (CO2) (il principale gas a effetto serra prodotto dall'uomo) con un 9% del totale, è tuttavia responsabile di alte emissioni di altri importanti gas serra: il 35-40% delle emissioni di metano, che ha un effetto 23 volte superiore a quello dell'anidride carbonica come fattore di riscaldamento del globo, il 65% delle emissioni di ossido di diazoto, un gas che è 296 volte più dannoso della CO2, e il 64% delle emissioni di ammoniaca, un gas che contribuisce significativamente alle piogge acide e all'acidificazione degli ecosistemi, sono prodotti infatti dal settore zootecnico. Sempre secondo la FAO, nella quota calcolata del 18% di emissioni di gas serra attribuite al settore zootecnico, il contributo maggiore proviene dagli allevamenti estensivi (13%), mentre una quota più ridotta (5%) è attribuibile ai sistemi intensivi.
È stato stimato che in sistemi CAFO (Confined Animal Feeding Operations) (sistemi di allevamento intensivo a ridotte emissioni di gas serra) la produzione di 225 g di carne di manzo produce emissioni CO2 equivalenti pari a quelle generate da un viaggio in auto di 15,8 km, 4,1 km per la stessa quantità di carne di maiale e 1,17 km per la stessa quantità di carne di pollo, mentre 225 g di asparagi (tra i vegetali a più alto impatto nella produzione di gas serra) corrispondono a guidare un'auto per 440 metri e 225 g di patate corrispondono a guidare un'auto per 300 metri. Secondo calcoli della FAO la produzione di un solo chilo di latte comporta una emissione di 2,4 kg di CO2 equivalenti. Un altro studio ha stimato che la produzione di un chilogrammo di manzo causa una emissione di gas serra e altri inquinanti maggiore di quella che si ottiene guidando un'auto per tre ore e lasciando nel frattempo accese tutte le luci di casa.

sabato 18 giugno 2022

L'uomo e il latte (I° parte): l'alimento per tutte le età, per ossa forti e corpo sano!



Il falso mito del calcio

Il latte non è essenziale per assumere calcio, anzi i prodotti caseari peggiorano la salute delle ossa.
I Paesi del mondo in cui si beve più latte hanno statisticamente più osteoporosi e fratture del bacino. 
Di pari passo con l’aumento del consumo di latte/latticini e di calcio aumentano anche i fattori di rischio per l’osteoporosi e le fratture ossee. 
Più latte e latticini si assumono, più si hanno perdite ossee.
Ci sono eccellenti fonti vegetali di calcio che non provocano acidosi metabolica; anzi, sono alcalinizzanti e aiutano la salute delle ossa. I broccoli, il cavolo, gli altri ortaggi a foglia verde, i semi di sesamo, il tahini, il tofu con aggiunta di calcio e i latti vegetali e succhi di frutta fortificati hanno quantità adeguate di calcio che soddisfano il fabbisogno giornaliero.
Il fattore in assoluto più importante per la salute delle ossa è il movimento. Per aumentare e mantenere la densità ossea, è necessario porre sotto tensione le ossa regolarmente.
Anche la vitamina D ha un importante ruolo nella salute delle ossa. Indipendentemente dalla quantità di calcio che si consuma, per assorbirlo serve la vitamina D. Oltre il 90% della popolazione mondiale ha livelli di vitamina D insufficienti o carenti.


La caseina e i prodotti caseari

La caseina, la principale proteina del latte, provoca dipendenza psicologica ed è un potente promotore del cancro.
Inoltre i prodotti lattiero-caseari contengono ormoni, allergeni, lattosio, grassi saturi, colesterolo e pesticidi: tutte sostanze che possono causare nel tempo seri problemi di salute.
Producono alti livelli di grassi saturi e colesterolo, note cause di aterosclerosi e cardiopatia arteriosclerotica (ASHD).


Il lattosio

Il lattosio è uno zucchero contenuto nel latte che viene scisso nell’organismo ottenendo un altro zucchero, il galattosio.
A sua volta, il galattosio viene ulteriormente catabolizzato da enzimi.
Secondo uno studio condotto dal dr. Daniel Cramer (e collaboratori) a Harvard, quando il consumo di latticini eccede quantitativamente la possibilità enzimatica di catabolizzare il galattosio, questo può accumularsi nel sangue e può danneggiare le ovaie femminili.
Alcune donne possiedono livelli di questi enzimi particolarmente bassi e il consumo regolare di derivati del latte può triplicare in loro il rischio di sviluppare cancro ovarico.


Il latte e le malattie correlate

I tumori della mammella e della prostata sono stati messi in relazione con il consumo di derivati del latte, correlazione presumibilmente riferibile, almeno in parte, ad aumentati livelli plasmatici di un composto denominato Insulin-like Growth Factor (IGF-I).
Questo fattore, isolato nel latte vaccino, è stato ritrovato a livelli plasmatici elevati nei soggetti che consumino regolarmente latticini .
Altri principi nutritivi che aumenterebbero i livelli di IGF-I sono presenti nel latte vaccino.
Uno studio recente mostra come soggetti maschili che presentino elevati livelli di IGF-I avrebbero un rischio quattro volte maggiore di sviluppare cancro prostatico, quando confrontati con i soggetti nei quali i livelli di questo fattore sono bassi.
Un ulteriore studio realizzato dal National Cancer Institute, dal National Institute of Health e dal World Cancer Research Fund condotto su 52.795 donne dimostra che:
  • consumare 1/3 di tazza di latte bovino al giorno aumenta del 30% la possibilità di sviluppare il cancro al seno;
  • consumare 1 tazza di latte bovino al giorno aumenta del 50% le probabilità di sviluppare il cancro al seno;
  • consumare 2-3 tazze di latte bovino al giorno aumenta dell”80% le probabilità di sviluppare il cancro al seno.
“Quello che è molto chiaro è che chi beve latte e mangia formaggi si ammala di più di cancro alla prostata." "La mia personale raccomandazione è di andare piano con i latticini, perchè i latticini non servono a niente". E i malati di tumore che hanno alti livelli nel sangue di fattori di crescita, come IGF1, che è stimolato dal consumo di latte, hanno una prognosi peggiore” (Franco Berrino).
Inoltre “I latticini contribuiscono significativamente ad elevare il contenuto di colesterolo e grassi nella dieta – è spiegato sul sito della SSNV – e le diete ad elevato contenuto di grassi, soprattutto grassi saturi, possono aumentare il rischio di parecchie malattie croniche, comprese le malattie cardiovascolari”.
Infine, “studi epidemiologici in diversi Paesi dimostrano la presenza di una forte correlazione tra l’uso di latticini e l’incidenza di diabete insulino-dipendente“.


Un'overdose proteica

Il latte vaccino, dovendo servire ai vitelli, che hanno una velocità d’accrescimento fisico notevolmente superiore a quella umana (raddoppiano il proprio peso dopo appena 47 giorni dalla nascita, mentre il neonato umano lo raddoppia in 180 giorni), contiene dal 3,5% al 5% di proteine, contro l’1,2% del latte umano. Tale notevole quantità di proteine nel latte di mucca costituisce, quindi, una autentica overdose proteica per un essere umano.
Si è cosi accertato che quando le proteine superano il normale fabbisogno del mammifero che assume un determinato latte, l’eccesso determina un sovraccarico per il fegato e le reni, che hanno il compito di eliminare i prodotti del metabolismo proteico.


Bibliografia 
Le informazioni sono tratte dalle seguenti opere:
Mills M. - Fattori promotori del cancro nel latte
Barnard N. - Ciò che l’industria del latte non vuol farti sapere
Berrino F. - 4 pilastri della nutrizione
Campbell T. C. - The China study

giovedì 21 aprile 2022

Razzismo e odio razziale...due parole sul tema!


Diverso spesso è uguale a ignoto
E l'ignoto, o il non ben conosciuto, potrebbe non essere piacevole, ma anzi, far paura, generando emozioni e sentimenti negativi, come l'ansia e il senso di insicurezza dovuto alla messa in discussione della propria identità ed esistenza.
Inoltre, gli esseri umani hanno bisogno di appartenere a un gruppo
Per consolidare la propria appartenenza e il proprio ruolo nel gruppo, si può arrivare a identificare il "diverso" come estraneo, come un nemico.
La paura dell'estraneo può portare ad attaccare e combattere chiunque sia diverso da sè, a consolidare la propria appartenenza a un gruppo o a una comunità, riconfermando di conseguenza la propria identità ed esistenza, il proprio ruolo e potere.


Atteggiamenti mentali, meccanismi...l'unica soluzione è studiarli, capirli e imparare a usarli (come strumento di crescita personale e sociale)

Gli atteggiamenti di odio sono generalmente basati sulla paura
Provengono da meccanismi primitivi di sopravvivenza di temere tutto ciò che ci sembra diverso. 
Le persone dovrebbero essere coscienti di questi meccanismi, dovrebbero sentirsi emotivamente competenti, preoccupandosi delle proprie emozioni positive, ma anche di quelle negative.
La capacità di mettere in discussione le nostre emozioni ci permette di comprendere meglio le nostre radici e chi siamo. 
Conoscere meglio chi siamo, le emozioni che proviamo e i comportamenti che mettiamo in atto in situazioni specifiche, ci aiutano ad individuare strategie per far fronte a situazioni stressanti.
I nostri atteggiamenti, verso chi è diverso da noi, si manifestano in due vie: in maniera esplicita (quella che dichiariamo apertamente) o in maniera implicita (dove inconsciamente ci affidiamo a degli stereotipi, anche se crediamo di comportarci in modio equo).
Questi diversi tipi di atteggiamenti sono dovuti all'evoluzione della corteccia celebrale, una struttura complessa che ha il ruolo di regolare le emozioni ed è sensibile all'educazione, alle nuove informazioni e al ragionamento. Grazie a questa area del sistema nervoso, noi siamo agenti capaci di valutare razionalmente, di esprimere decisioni e ragionamenti. 
Possiamo, nonostante ciò, mettere in atto reazioni instintuali. 


Oltre alla consapevolezza: dare un nome alle emozioni

Per arrivare a una piccola conclusione, occorre dare un nome alle emozioni se le si vuole usare
Essere consapevoli delle nostre emozioni non è sufficiente. Occorre conoscerle, dargli un nome ed esprimerle correttamente.
Essere consapevoli dei nostri pregiudizi consci e inconsci e delle emozioni ad essi correlati è essenziale per iniziare a conoscere meglio noi stessi e gli altri.
Conoscere chi siamo, con le nostre emozioni positive e negative, ci aiuta a riconoscere gli altri, come esseri umani che utilizzano l'empatia come competenza per instaurare il dialogo.