mercoledì 24 marzo 2021

Il caso Riace: quando la politica dall'alto abbatte la politica dal basso


Il 2 ottobre 2018, l’allora sindaco di Riace (Calabria), Mimmo Lucano viene arrestato. 
Le accuse sono pesanti: quindici capi di imputazione, che vanno dalla truffa agli abusi d’ufficio, all’associazione per delinquere, fino al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
L’uomo capace di costruire un “modello” di integrazione unico e stimato in tutto il mondo si trova al centro del dramma di una inchiesta giudiziaria e dell’esilio.


L'inizio del processo

Il processo sin dall’inizio appare come un processo “speciale”.
Si apre l’11 giugno del 2019 in una Locri blindata, con un imponente schieramento di polizia a protezione del Tribunale.
Nella prima fase è il capo della Procura di Locri, Luigi D’Alessio, a parlare. Il suo giudizio su Lucano è perentorio: «Su Riace si è speculato, sono spariti almeno 2 milioni di euro. Riteniamo che Lucano li abbia usati per fini personali. Ma a volte il tornaconto può essere anche politico, d’immagine».
Dopo più di due anni da quell’intervista dei due milioni “spariti” e trafugati da Lucano non vi è traccia. Molte sono le ore di intercettazioni, le analisi sui movimenti dei conti correnti dell’ex sindaco e dei suoi familiari. Ma non vi è traccia di irregolarità.
E poi c’è l’interesse elettorale. Nel 2017 si svolsero le elezioni politiche, europee, regionali, in cui Lucano ebbe numerose offerte di candidature. Lucano di decise di non candidarsi.


Il super testimone del processo

Dall’inizio del processo, la Procura ha a disposizione un supertestimone: un commerciante di Riace che afferma di aver avuto forti pressioni da Lucano per emettere una serie di fatture false (il suo nome è Francesco Ruga).
Anch’egli viveva dentro il “modello Riace”. Dapprima Ruga è un fan del sindaco, poi i rapporti si incrinano.
Circolano allora decine di messaggi e minacce: «Mi autodenuncio, dico tutto, sta pappania è finita» (Lucano è stato costretto a rivolgersi ai carabinieri, a causa del tono molesto, minaccioso e ricattatorio). Ruga, a sua volta, presenta una denuncia alla Guardia di Finanza.


Altre accuse al "modello" e a Lucano

La procura porta in tribunale anche le ispezioni fatte da un funzionario di prefettura, il dottor Salvatore del Giglio. 
Nel luglio 2016 ispeziona il modello Riace, ne evidenzia gli aspetti positivi, ma poi rileva che la convenzione con gli enti gestori, le cooperative, è avvenuta in «mancanza di evidenza pubblica». Non si sono fatte gare. 
(Qualche mese dopo la sua deposizione, il dottor del Giglio viene inquisito dalla procura di Palmi per lo scandalo del centro di accoglienza Villa Cristina, nel comune di Varapodio.)


Qualche piccolo grande sospetto

Si affaccia un sospetto: che lo Stato abbia deciso l’abbattimento a tavolino del modello di Riace?. Al Viminale c’era l’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini, il quale si era espresso più volte in termini negativi verso la figura di Lucano.
Forse Lucano era un pezzo grosso perfetto perfetto da attaccare: “a Riace va bene, il modello funziona, tuttavia ci sono una serie di norme e regolamenti violati o non rispettati” (questi sono i titoli di numerosi quotidiani di destra del periodo).

Solo una relazione non viene resa pubblica e scompare nei cassetti della Prefettura di Reggio, quella firmata dal viceprefetto Francesco Campolo. La descrizione che il funzionario fa di Riace è entusiastica, il linguaggio poco burocratico, netto il giudizio su Lucano, «un uomo che ha dedicato all’accoglienza buona parte della propria vita», clamorosa la denuncia sul blocco dei finanziamenti operato in quei mesi dal Viminale e voluto da Salvini. Quella pagine, che in prefettura giudicano «una favoletta», spariranno per mesi. Per averne copia gli avvocati difensori di Lucano, Antonio Mazzone e Andrea Daqua impiegheranno un anno, ma solo dopo aver scritto un esposto alla Procura di Reggio Calabria.

Nessun commento:

Posta un commento