venerdì 21 novembre 2014

Miti da sfatare: il falso mito del progresso


La lotta continua tra progresso e conservazione è da sempre una costante nella storia dell’umanità.
La continua ricerca del progresso fissa nel futuro un traguardo da raggiungere, ignorando il presente e rendendolo schiavo di un’angoscia e di un malessere strisciante e continuo, mascherato da un finto ottimismo privo di radici.
Particolarmente in occidente ci troviamo di fronte ad una concezione dualistica, tipicamente moderna, in cui il progresso e la tecnologia sono visti o come demoni a cui attribuire le cause di tutti i nostri problemi, oppure come dei “Messia” capaci di risollevare le sorti della nostra società; da questa osservazione appare però chiaro un punto in comune: il malessere esistenziale.
Tutto ciò circa il presente.
Nel passato possiamo invece notare come il concetto di “progresso” sia un’invenzione relativamente recente
Prendendo come riferimento la classicità greca notiamo infatti, come l’uomo fosse strettamente legato alle proprie scoperte, e più in generale alle proprie speculazioni, non solo da un punto di vista fisico, ma anche spirituale in quanto ogni nuova conoscenza veniva integrata totalmente nella cultura; questo permetteva una visione del tempo strutturata soltanto sul presente, senza il mito di un passato glorioso, né di un preoccupante futuro. 

Il concetto attuale di progresso è invece strettamente collegato al tempo: l’uno senza l’altro sono privi di significato e l’uomo vive proiettando nel futuro la soluzione dei suoi attuali problemi, anziché interessarsi ad un presente complesso e a volte incerto, ma reale e perciò intrinseco all’uomo.
La causa del malessere della società moderna si può riportare alla “rincorsa temporale” in cui il genere umano, intento nell’inseguimento del mito del progresso, perde di vista la sua componente personale, la parte spirituale insita in ciascuno che lo guida nella pura ricerca, necessaria per l’accrescimento individuale.
Questa scissione si palesa ogni qualvolta ci riferiamo alla scienza; essa, pur essendo parte integrante della vita quotidiana moderna, viene definita come entità astratta al di fuori dell’uomo, creatrice di un Futuro di giustizia e bontà.
La facile reperibilità di informazioni priva gradualmente la nuova società del gusto della ricerca, le così dette “Generazioni 2.0” vivono di informazioni istantanee, spesso superficiali, che non  costano fatica e, di conseguenza, non entrano a far parte del nostro Essere rimanendo così estranee ed impossibili da implementare.

Non è importante la meta, ma il cammino” affermavano i pellegrini medievali e nonostante questa frase possa suonare a noi, uomini moderni, eccessivamente romantica,  nell’accezione più dispregiativa del termine, essa rimane la sostanziale la spiegazione della vita umana.
Ascesi, illuminazione, gnosi sono solo alcuni dei termini diversi attribuiti allo stesso concetto: la ricerca, quella stessa che viene annichilita giornalmente.
Siamo così assuefatti dal cosiddetto progresso da non riuscire più a sopportare la fatica intellettuale della ricerca, perché essa implica che noi diventiamo parte della ricerca stessa, con i nostri dubbi, le nostre incertezze, il nostro essere e contemporaneamente ammette un possibile fallimento: l’uomo moderno non riuscendo a sopportare l’idea della non riuscita, rinuncia al percorso stesso.
Rifiutando la ricerca, rifiutiamo il motivo di nascita della scienza: l’accrescimento, fisico-intellettuale e spirituale dell’uomo.
Ora, essendoci così staccati dalla “ricerca che è in noi” come possiamo credere che il futuro possa derivare da un progresso esterno?
Fino a che l’uomo non riporterà il progresso dentro se stesso, nulla potrà mai cambiare. 
Secoli di razionalismo ci hanno portato a credere che l’accettazione dei limiti della tecnologia, derivata dell’intelletto, significhi anche affermazione dell’impotenza dell’uomo sulla sua storia, senza capire che di pari passo all’accrescimento tecnologico ci deve essere un accrescimento individuale, dalla cui unione nascerà la nuova società tanto osannata dai cultori del progresso.
Da qui appare chiaro come l’eterna lotta tra progresso e conservazione risulti inesistente in quanto non sarebbe il ritorno “fisico” al passato a determinare il miglioramento del genere umano, bensì il ritorno ad un unione di spirito e corpo, così tanto disprezzata dall’Occidente ma così importante per l’umanità.

L'articolo è di Andrea Renzi

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