A centinaia di miglia dalla costa americana, non lontano dal Mar dei Caraibi è stata rilevata, dopo la Pacific Garbage Patch, la seconda isola gigante di immondizia, questa volta nell'Atlantico.
Questa si estende nell’area che copre una regione tra i 22 e i 28 gradi di latitudine nord (approssimativamente la distanza che corre da Cuba alla Virginia), in corrispondenza del nord della Florida.
Si stima sia grande quasi il doppio dell’Italia e composta principalmente di rifiuti di plastica galleggianti.
Si è formata per effetto delle correnti marine che accumulano la spazzatura in aree concentrate.
Un gruppo di scienziati statunitensi ha monitorato per 22 anni quest’atollo, contando nei punti di massima densità qualcosa come 200 mila frammenti di bottiglie, buste e altri prodotti di plastica per chilometro quadrato.
L’aspetto paradossale è che le dimensioni del vortice non sono aumentate in maniera significativa negli ultimi due decenni, di fronte alla crescita (significativa) della produzione di plastica. Tutto ciò, nonostante la comparsa e l'incentivo della raccolta differenziata, avvenuti in epoca molto recente, è difficilmente spiegabile. Si pensa a riguardo che i frammenti più piccoli siano sfuggiti al conteggio e non siano quindi stati conteggiati (quindi errore umano di lettura) come prima ipotesi, o che i detriti siano stati ricoperti dalle alghe e siano diventati abbastanza pesanti da affondare intossicando l’ecosistema marino come seconda ipotesi.
La plastica infatti non è indistruttibile come si pensa: si decompone in mare aperto per esposizione alle intemperie rilasciando numerosi composti tossici, che possono venir assorbiti dai pesci e altri organismi mettendo a rischio la loro vita e la capacità riproduttiva. Questi sono soprattutto gli animali acquatici che si cibano di plancton, come le meduse (che appunto non riconoscono la plastica e se ne cibano), le tartarughe marine e gli altri animali che si cibano di questi, compresi quelli non acquatici come gli uccelli.
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