lunedì 22 dicembre 2014

I Rothscild, i veri padroni del mondo (III° parte): il finanziamento all'ascesa di Hitler, erede illegittimo della stirpe


E' stato dimostrato in tanti libri e da un’infinita di studiosi, che Adolf Hitler e i nazisti sono stati creati e finanziati dai Rothschild e dalle altre potenti corporations americane, con lo scopo di alimentare un focolare di guerra in Europa, capace di contrastare le potenze inglesi e russe. 
Il tutto per giungere a una grande guerra, studiata a tavolino dalla parte americana; quest'ultima, intervenendo e ponendo fine al conflitto, si sarebbe appropriata di gran parte del potere mondiale.

I banchieri ebrei della famiglia Warburg, i Kuhn e Loeb dell’omologa banca, gli Schiff, il ramo americano dei Rothschild,.. 
Furono loro che organizzarono l’ascesa al potere di Hitler attraverso società segrete a capo degli Illuminati presenti in Germania, come la Società Thule, la Società Vril e altre; furono i Rothschild a finanziare Hitler attraverso la Banca d’Inghilterra e altre fonti sono la Banca Kuhn Loeb, che finanziò anche la Rivoluzione Russa. Il cuore della macchina da guerra di Hitler fu il genio chimico I.G.Farben. Anch’egli controllato dai Rothschild tramite società finanziarie, attraverso i valletti dei Warburg.
La Standard Oil dei Warburg gestiva Aushwitz, ma era ufficialmente dei Rockefeller (l’impero Rockefeller era stato creato, tra gli altri, dai Rothschild). Essi possedevano anche i mezzi di comunicazione, e così controllavano il flusso di notizie date al pubblico


Hitler era un Rothscild

Dietro la forza di Hitler vi era la mano sapiente dei Rothschild, proprio coloro che nel mondo sostengono la razza ebraica… Gli ebrei sono per loro, come tutto il resto della popolazione, solo bestiame da usare e muovere a proprio vantaggio. 
Non solo Hitler fu sostenuto dai Rothschild, ma diverse prove dicono che lui fosse un Rothschild.
Tra cui il libro dello psicanalista Walter Langer, The mind of Hitler.
Questo calza a pennello sulla propaganda organizzata dagli Illuminati per spianare la strada al potere ad Adolf Hitler.
Egli venne sostenuto anche dai Windsor (in realtà casata tedesca dei Sassonia-Coburgo- Gotha), e tra questi figurava Lord Mountbatten, un Rothschild, un satanista. I dati sul legame tra nazisti-britannici devono ancora emergere del tutto, ma uno studioso di nome Langer ha scritto:
“Il padre di Adolf, Alois Hitler, era figlio illegittimo di Maria Anna Schiklgruber. Si pensava fosse Georg Hiedler. Ma (…)ciò è altamente improbabile(in Austria era saltato fuori un documento)(…)che dimostra che Maria Anna S. fosse a Vienna al momento del concepimento. A quel tempo era la domestica del barone Rothschild. Non appena scoperta la sua gravidanza fu cacciata…e nacque Alois”
Le informazioni di Langer provengono da un alto ufficiale della Gestapo, Hansjurgen Koelher, e furono pubblicate nel 1940 col titolo Inside the Gestapo.
Quel fascicolo scrisse “provocò tanto scompiglio quanto mai prima”. Egli rivelò anche che:
“(…)Attraverso quei fascicoli scoprimmo tramite certificato di nascita, scheda di registrazione della polizia, i protocolli ecc, alcune cose che il cancelliere tedesco riuscì a ricomporre come un puzzle, dandogli una coerenza logica”.
“Una giovane serva (la nonna di Hitler)arrivò a Vienna e divenne domestica presso alcune delle famiglie più potenti e ricche di Vienna. Ma, sfortunata, venne sedotta e abbandonata mentre aspettava un bambino e venne rispedita al villaggio natale…

A Vienna era già da tempo in funzione un registratore obbligatorio presso il commissariato di polizia, ella lavorava presso i…Rothschild  e il nonno ignoto di Hitler doveva trovarsi in quella casa. Il fascicolo Dolfuss si fermava a questa osservazione”.
Forse Hitler era così determinato a conquistare l’Austria per distruggere ogni traccia del suo retaggio?
“Mi pare che Hitler conoscesse le sue origini ancor prima di diventare Cancelliere.
Come suo padre, quando il gioco si fece duro, si trasferì a Vienna; poco dopo la morte della madre nel dicembre 1907, Adolf partì per Vienna. Pare che là abbia fatto perdere ogni sua traccia per 10 mesi! Ciò che fece in quel periodo è un mistero, ma noi possiamo presupporre che si fosse intrattenuto a conoscere i suoi cugini e per valutare il suo potenziale in vista di future eventuali imprese”.

Alois, il padre nacque nel 1837 nel periodo in cui Salomon Mayer era l’unico Rothschild che viveva a Vienna. Persino la moglie era tornata a Francoforte dopo il fallimento del loro matrimonio.
Il loro figlio, Anselm Salomon, trascorse la maggior parte della sua vita lavorativa tra Parigi e Francoforte, lontano da Vienna e dal padre.
Così, il vecchio e solo Salomon Mayer Rothschild è il sospettato numero 1.
E Hermann von Goldschmidt, figlio di un impiegato di Salomon Mayer, scrisse un libro pubblicato nel 1917, che riporta a proposito si Solomon: “…dal 1840 aveva sviluppato un particolare entusiasmo per le giovinette”…e…”aveva una passione lasciva per le bambine, e le sue avventure con loro furono messe a tacere dalla polizia”.
La nonna di Hitler era una giovane ragazza che lavorava sotto quello stesso tetto e che divenne ben presto oggetto delle attenzioni e voglie di Mr Salomon.E rimase incinta proprio mentre era in servizio in quella casa.
Suo nipote divenne cancelliere tedesco, grazie all’appoggio finanziario dei Rothschild, e diede inizio alla Seconda Guerra Mondiale che fu così centrale per il piano globale degli Illuminati.

Tratto da 
http://www.avventismoprofetico.it/

mercoledì 3 dicembre 2014

I Rothscild, i veri padroni del mondo (II parte): la storia americana


La Rivoluzione Americana

Prendiamo ora in considerazione gli esiti prodotti dalla Banca d’Inghilterra sull’economia britannica e vediamo come ciò, in seguito, abbia rappresentato la causa principale della Rivoluzione Americana.
Verso la metà del 1700, l’Impero Britannico si stava avvicinando all’apice del suo potere nel mondo. A partire dalla fondazione della propria banca centrale di proprietà privata, la Gran Bretagna aveva combattuto quattro guerre in Europa, il cui costo era stato elevato; per finanziare tali guerre il parlamento inglese, invece di emettere la propria valuta senza interessi, aveva contratto pesanti debiti con la banca.
Alla metà del 18mo secolo il debito del governo britannico ammontava a 140.000.000 di sterline – una somma sbalorditiva per quell’epoca. Di conseguenza il governo, alfine di pagare gli interessi alla banca, intraprese un programma di prelievo fiscale dalle proprie colonie in America.
In America, però, la situazione era diversa. Il flagello di una banca centrale di proprietà privata non vi era ancora arrivato, sebbene la Banca d’Inghilterra dal 1694 esercitasse la sua rovinosa influenza sulle colonie americane. Quattro anni prima, nel 1690, la colonia della Baia del Massachusetts aveva stampato la propria valuta cartacea - primo caso in America - seguita nel 1703 dalla South Carolina e quindi dalle altre colonie.
In quel periodo l’America pre-rivoluzionaria era ancora relativamente povera. Vi era una grave penuria di monete metalliche preziose da utilizzare per l’acquisto di beni, così i primi coloni venivano costretti in misura sempre maggiore a sperimentare la stampa della propria valuta cartacea locale; alcuni fra questi esperimenti ebbero successo ed in alcune colonie, come valuta di scambio, venne usato il tabacco.
Nel 1720, ad ogni Governatore Reale coloniale fu ordinato di limitare l’emissione di valuta coloniale, tuttavia questo provvedimento venne largamente disatteso. Nel 1742, il British Resumption Act stabiliva che le tasse e i debiti di altro genere fossero corrisposti in oro; ciò provocò una depressione nelle colonie e i ricchi pignorarono, corrispondendo un decimo del loro valore reale, tutte le proprietà.
Benjamin Franklin fu un grande sostenitore della stampa della propria valuta cartacea da parte delle colonie; egli, nel 1757, fu inviato a Londra per rivendicare tale diritto e finì col rimanervi per i successivi 18 anni - quasi fino all’inizio della Rivoluzione Americana.
Nell’arco di questo periodo, un numero crescente di colonie americane ignorò le prescrizioni del Parlamento e cominciò ad emettere la propria valuta, chiamata ‘buono coloniale’; il tentativo fu coronato dal successo, con notevoli eccezioni. Il buono coloniale rappresentava un affidabile mezzo di scambio e, inoltre, aiutava a suscitare un sentimento di unità fra le colonie. Ricordate che il buono coloniale era perlopiù valuta cartacea, non gravata da debiti, stampata nel pubblico interesse e non sostenuta realmente da riserve d’oro o d’argento; in altri termini, si trattava di moneta a corso forzoso.
I funzionari della Banca d’Inghilterra chiesero a Franklin in che modo potesse spiegare la ritrovata prosperità delle colonie ed egli, senza esitazioni, rispose:
La questione è semplice. Nelle colonie noi emettiamo la nostra valuta, che si chiama buono coloniale. La emettiamo in quantità appropriata rispetto alla domanda commerciale e industriale per far sì che i prodotti passino facilmente dal produttore al consumatore... In questo modo, creando per noi stessi la nostra valuta, ne controlliamo il potere d’acquisto e non dobbiamo pagare interessi a nessuno.
Questo per Franklin era semplicemente buonsenso, potete tuttavia immaginare l’effetto che ebbe sulla Banca d’Inghilterra. L’America aveva scoperto il segreto del denaro e il genio doveva tornarsene nella bottiglia il prima possibile. Il risultato fu che il Parlamento approvò in fretta e furia il Currency Act del 1764, provvedimento che vietava ai funzionari delle colonie di emettere la propria valuta e ordinava loro di pagare tutte le tasse a venire con monete d’oro o d’argento; in altri termini costringeva le colonie ad adeguarsi agli standard in oro e argento. Questo diede origine alla prima intensa fase della Prima Guerra Bancaria in America - risoltasi con la sconfitta dei Cambiavalute - che iniziò con la Dichiarazione di Indipendenza e si concluse col successivo trattato di pace, il Trattato di Parigi del 1783.
Per coloro che ritengono che uno standard in oro sia la soluzione degli attuali problemi monetari americani, consideriamo quello che accadde in America dopo l’approvazione del Currency Act del 1764. Franklin, nella sua autobiografia, scrisse:
Nel giro di un anno la situazione si era rovesciata al punto che l’era di prosperità era terminata lasciando il posto alla depressione, in misura tale che le strade delle Colonie traboccavano di disoccupati.
Franklin afferma che ciò costituì anche la causa principale della Rivoluzione Americana; sempre dalla sua autobiografia:
Le Colonie avrebbero sopportato di buon grado la ridotta tassa sul tè ed altre materie, se l’Inghilterra non avesse tolto alle Colonie stesse la loro valuta, creando così disoccupazione e malcontento.
Nel 1774, il Parlamento approvò lo Stamp Act, il quale prescriveva l’apposizione, su ogni atto commerciale, di un bollo che attestasse il pagamento di una tassa in oro - cosa che ancora una volta minacciava la valuta cartacea coloniale; meno di due settimane più tardi, il Massachusetts Committee of Safety promulgò una risoluzione a favore dell’emissione di ulteriore valuta coloniale e di riconoscimento della valuta delle altre colonie.
Il 10 e il 22 giugno 1775, il Congresso delle Colonie decise l’emissione di 2 milioni di dollari in valuta cartacea in base al credito e alla fiducia delle “Colonie Unite”. Tale decisione disobbediva alla Banca d’Inghilterra e al Parlamento e rappresentò un atto di sfida, il rifiuto di accettare un sistema monetario ingiusto nei confronti degli abitanti delle colonie.
Così gli attestati di credito (cioè la valuta cartacea) che gli storici ignoranti o prevenuti hanno sminuito considerandoli strumenti di una politica finanziaria incosciente, erano in effetti i principi della Rivoluzione; anzi, erano più di questo: erano la Rivoluzione stessa.
- Alexander Del Mar, storico
Quando, il 19 aprile 1775, furono sparati i primi colpi a Concord e Lexington, Massachusetts, le colonie erano state prosciugate dell’oro e dell’argento dalla tassazione britannica; come risultato, il governo continentale per finanziare la guerra non ebbe altra scelta se non quella di stampare la propria valuta cartacea.
All’inizio della Rivoluzione la fornitura di denaro coloniale americano si attestava intorno ai 12 milioni di dollari; alla fine della guerra raggiunse quasi i 500 milioni. Questo fu in parte dovuto ad una massiccia contraffazione britannica il cui esito fu di rendere la valuta virtualmente senza valore; un paio di scarpe costava 5.000 dollari. 
Come lamentava George Washington:
Un vagone carico di denaro riuscirà a fatica ad acquistare un vagone carico di approvvigionamenti.
In precedenza il buono coloniale aveva funzionato in quanto veniva emessa una quantità di valuta appena sufficiente a facilitare il commercio, mentre la contraffazione era irrisoria. Oggi, coloro che sostengono una valuta basata sulle riserve d’oro, indicano questo periodo della Rivoluzione per dimostrare gli svantaggi di una moneta a corso forzoso. Ricordate, comunque, che quella stessa valuta, in precedenza, aveva funzionato così bene vent’anni prima in tempo di pace che la Banca d’Inghilterra l’aveva fatta rendere illegale dal Parlamento e che, durante la guerra, gli Inglesi cercarono deliberatamente di scalzarla contraffacendola in Inghilterra e spedendola ‘a balle’ nelle colonie.


La Banca del Nord America

Verso la fine della Rivoluzione, il Congresso continentale, riunitosi presso l’Indipendence Hall di Filadelfia, si trovò ad avere un bisogno disperato di fondi. Nel 1781 essi permisero a Robert Morris, loro Soprintendente Finanziario, di aprire una banca centrale di proprietà privata, nella speranza che la cosa potesse essere di qualche utilità. Fra parentesi Morris era un benestante il quale, commerciando in materiale bellico durante la Rivoluzione, si era ulteriormente arricchito.
La nuova banca, la Bank of North America, ricalcava da vicino il modello della Banca d’Inghilterra; ad essa venne consentita (o, piuttosto, non venne proibita) la pratica della riserva frazionale bancaria, ovvero poteva prestare denaro che non aveva e quindi applicare su di esso gli interessi. Se io o voi facessimo una cosa del genere saremmo accusati di frode - cioè di un crimine. A quell’epoca ben pochi compresero tale pratica e, naturalmente, essa venne tenuta nascosta il più possibile al pubblico e ai politici; per di più alla banca fu assegnato il monopolio di emettere banconote, accettabili per il pagamento delle tasse.
Lo statuto della banca richiedeva la costituzione di un capitale iniziale di 400.000 dollari versati da investitori privati. Quando però Morris si rivelò incapace di trovare il denaro, egli utilizzò sfacciatamente la sua influenza politica per ottenere che venisse depositato dell’oro nella sua banca - oro che era stato prestato all’America dalla Francia. Egli prestò a sé stesso e ai suoi amici questo denaro per reinvestirlo nelle azioni della banca; la Seconda Guerra Bancaria Americana era iniziata.
Presto i pericoli diventarono evidenti. Il valore della valuta americana continuò a precipitare e quattro anni più tardi, nel 1785, il documento di concessione della banca non venne riconfermato, mettendo fine alla minaccia dello strapotere della banca stessa; così la Seconda Guerra Bancaria Americana si risolse velocemente in una sconfitta dei Cambiavalute.
Il leader di questo efficace sforzo per affossare la banca fu un patriota di nome William Findley, della Pennsylvania, che spiegò il problema nel modo seguente:
Questa istituzione, non avendo altro principio che la cupidigia, non cambierà mai i propri obiettivi...monopolizzare tutta la ricchezza, il potere e l’influenza dello stato.
La plutocrazia, una volta attestatasi, avrebbe corrotto la legislatura in modo che le leggi sarebbero state formulate a suo vantaggio e l’amministrazione della giustizia avrebbe favorito i ricchi.
Gli uomini dietro alla Banca del Nord America - Alexander Hamilton, Robert Morris ed il Presidente della Banca, Thomas Willing - non si diedero per vinti. Solo sei anni più tardi Hamilton, all’epoca Ministro del Tesoro, ed il suo mentore Morris, tramite il nuovo Congresso fondarono una nuova banca centrale di proprietà privata, la Prima Banca degli Stati Uniti; Thomas Willing, ancora una volta, ne rivestì il ruolo di Presidente. I giocatori erano gli stessi, soltanto il nome della banca era cambiato.


L'assemblea costituente

Nel 1787 i leader coloniali si riunirono a Filadelfia per cambiare i nefasti Articoli della Confederazione. Come abbiamo visto in precedenza, sia Thomas Jefferson che James Madison erano fermamente contrari ad una banca centrale di proprietà privata; avevano visto i problemi causati dalla Banca d’Inghilterra e non volevano niente del genere. Come Jefferson sostenne in seguito:
Se il popolo americano permetterà mai che banche private controllino l’emissione della sua valuta, le banche e le corporazioni che prolificano intorno ad esse, prima tramite l’inflazione e poi tramite la deflazione, priveranno il popolo di tutte le sue proprietà fino al momento in cui i figli si ritroveranno senza tetto nel continente conquistato dai padri.
Nel corso del dibattito sul futuro sistema monetario, un altro dei padri fondatori, Gouvenor Morris, presiedeva il comitato che stese la bozza finale della Costituzione; Morris conosceva bene le ragioni dei banchieri.
Insieme al suo vecchio capo, Robert Morris, Gouvenor Morris e Alexander Hamilton erano quelli che avevano presentato il progetto originale della Banca del Nord America al Congresso continentale tenutosi durante l’ultimo anno della Rivoluzione.
Gouvenor Morris, in una lettera scritta a James Madison in data 2 luglio 1787, rivelava ciò che stava accadendo in realtà:
I ricchi lotteranno per affermare il proprio dominio e conquistare il resto. Lo hanno sempre fatto e sempre lo faranno... Essi avranno qui gli stessi effetti che altrove se noi, tramite il potere del governo, non li circoscriveremo ai loro ambiti specifici.
Nonostante la defezione di Gouvenor Morris dai ranghi dei banchieri, Hamilton, Robert Morris, Thomas Willing e i loro sostenitori europei non avrebbero abbandonato i loro propositi; essi convinsero il grosso dei delegati dell’Assemblea Costituente di non accordare al Congresso il potere di emettere valuta cartacea. La maggior parte dei delegati era ancora scossa dalla selvaggia inflazione della valuta cartacea verificatasi nel corso della Rivoluzione ed essi avevano dimenticato come aveva egregiamente funzionato il buono coloniale prima della guerra. La Banca d’Inghilterra invece no; i Cambiavalute non potevano permettere che l’America stampasse di nuovo la propria moneta.
Molti ritenevano che il Decimo Emendamento, il quale riservava dei poteri agli stati che non erano ammessi dalla Costituzione al governo federale, rendesse incostituzionale l’emissione di valuta cartacea da parte del governo federale, in quanto il potere di emettere valuta cartacea nella Costituzione non era specificatamente affidato al governo federale stesso. La Costituzione a questo proposito non si pronuncia; essa, tuttavia, proibiva in modo specifico ai singoli Stati di “emettere certificati di credito” (valuta cartacea).
La maggior parte degli artefici intendeva il silenzio della Costituzione nel senso di impedire al nuovo governo federale di avere il potere di autorizzare la creazione di valuta cartacea; infatti, il Giornale dell’Assemblea del 16 agosto recita così:
É stato proposto ed appoggiato di cancellare le parole ‘ed emettere certificati di credito’ e la mozione...é passata con risposta affermativa.
Tuttavia Hamilton e i suoi amici banchieri videro questo silenzio come l’opportunità di tenere il governo fuori dalla creazione della valuta cartacea, che speravano di monopolizzare privatamente. Così sia i delegati a favore che quelli contrari ai banchieri, con motivazioni opposte, appoggiarono, con uno scarto di quattro a uno, la mozione per lasciare fuori dalla Costituzione qualsiasi autorità del governo federale relativa alla creazione di valuta cartacea. Questa ambiguità lasciò la porta aperta ai Cambiavalute - proprio come essi avevano pianificato.
Naturalmente la carta moneta non rappresentava di per sé il problema principale. Il problema più rilevante era il prestito di riserva frazionale, poiché esso moltiplicava per molte volte qualsiasi inflazione causata da una eccessiva emissione di valuta cartacea; questo, tuttavia, non veniva compreso da molti, laddove le ricadute negative causate da una smodata produzione di valuta invece lo erano.
Gli estensori, relativamente alla loro convinzione che proibire la valuta cartacea fosse un buon fine da perseguire, furono ben consigliati. La proibizione di tutta la valuta cartacea avrebbe fortemente limitato la riserva frazionale bancaria allora praticata, poiché l’uso di assegni era minimo e si può presumere che sarebbe stato proibito anch’esso. I prestiti bancari però, creati come registri, non furono presi in considerazione e quindi non vennero proibiti.
Nel momento in cui si verificò tale situazione, i governi statale e federale furono largamente intesi come non autorizzati a creare denaro, al contrario delle banche private - sostenendo che tale potere, non essendo specificamente vietato, veniva riservato ai cittadini (incluse persone giuridiche, quali banche società per azioni).
Il ragionamento opposto affermava che le corporazioni bancarie erano strumenti o agenzie degli stati che le ospitavano e quindi doveva essere loro negato di “emettere attestati di credito”, così come accadeva per gli stati stessi. Tale ragionamento venne ignorato dai banchieri, i quali proseguirono a emettere banconote basate sulle riserve frazionali, e perse tutta la sua forza una volta che la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilì che anche il governo federale avrebbe potuto concedere uno statuto ad una banca abilitata ad emettere valuta. Alla fine solo agli stati venne proibito di emettere valuta, cosa che invece non fu negata né alle banche private né ai Comuni (come accadde in circa 400 città durante la Grande Depressione).
Un altro errore che spesso non viene compreso riguarda l’autorità concessa al governo federale di “coniare monete” e di “regolamentarne il valore”. Regolamentare il valore della moneta (vale a dire il suo potere d’acquisto o valore relativo ad altri parametri o beni) non ha niente a che fare con la qualità o il contenuto (cioè un tot di parti di rame o di oro etc.) bensì con la sua quantità - la riserva di denaro; è la quantità a determinarne il valore ed il Congresso non ha mai legiferato sulla quantità totale di denaro negli Stati Uniti.
Una legislazione su una fornitura generale di denaro (compresi assegni, valuta e tutti i depositi bancari) in effetti regolamenterebbe il valore (potere d’acquisto) di ogni dollaro e quindi una legislazione relativa al tasso di crescita della riserva monetaria ne determinerebbe il valore futuro. Il Congresso non ha mai legiferato in nessuno di questi due ambiti, sebbene disponga chiaramente dell’autorità costituzionale per farlo; esso ha rimesso questa funzione alla Federal Reserve e alle 10.000 e più banche che creano le nostre riserve monetarie.


La prima Banca Centrale degli Stati Uniti

Nel 1790, meno di tre anni dopo che la Costituzione era stata ratificata, i Cambiavalute colpirono di nuovo. Il Ministro del Tesoro appena nominato, Alexander Hamilton, propose al Congresso un progetto di legge che prevedeva la fondazione di una nuova banca centrale di proprietà privata.
Stranamente era lo stesso anno in cui Mayer Rothschild dalla sua banca ammiraglia di Francoforte fece la seguente dichiarazione:
Lasciate che io emetta e controlli il denaro di una nazione e non mi interesserò di chi ne formula le leggi.
Alexander Hamilton era uno strumento dei banchieri internazionali; egli voleva creare un’altra banca centrale privata, la Banca degli Stati Uniti, e così fece; convinse Washington a firmare il progetto di legge, nonostante le riserve dello stesso Washington e l’opposizione di Jefferson e Madison.
Per convincere Washington, Hamilton accampò la motivazione dei “poteri implicati”, da allora così spesso utilizzata per svuotare la Costituzione del suo contenuto.
Jefferson predisse correttamente le disastrose conseguenze dovute all’apertura di un tale vaso di Pandora, che avrebbe permesso ai giudici di “implicare” qualsiasi cosa andasse loro a genio.
Risulta interessante il fatto che uno dei primi lavori di Hamilton dopo il conseguimento, nel 1782, della laurea in giurisprudenza, fu quello di consigliere di Robert Morris, capo della Banca del Nord America. In effetti Hamilton, l’anno precedente, aveva scritto a Morris una lettera in cui diceva:
Un debito nazionale, se non è eccessivo, sarà una benedizione nazionale.
Una “benedizione” per chi?
Nel 1791, dopo un anno di intenso dibattito, il Congresso approvò il progetto di legge di Hamilton e gli conferì uno statuto ventennale; la nuova banca si sarebbe chiamata First Bank of the United States (Prima Banca degli Stati Uniti), o BUS; così iniziò la Terza Guerra Bancaria Americana.
La sede centrale della Prima Banca degli Stati Uniti si trovava a Filadelfia. La banca fu autorizzata a stampare denaro e a concedere prestiti sulla base delle riserve frazionali, anche se l’ottanta per cento delle sue azioni era di proprietà di azionisti privati; il restante 20% sarebbe stato acquistato dal Governo degli Stati Uniti, ma la ragione non era quella di dare al governo una parte nella faccenda: si trattava di fornire il capitale iniziale dell’ottanta per cento agli altri possessori .
Così come per la Banca del Nord America e la Banca d’Inghilterra prima di allora, gli azionisti non pagarono mai l’ammontare complessivo delle loro azioni; il Governo degli Stati Uniti corrispose i suoi iniziali 2.000.000 di dollari in contanti e poi la banca, tramite l’antica magia del prestito sulla base delle riserve frazionali, concesse prestiti ai suoi investitori statutari in modo che essi potessero disporre dei rimanenti 8.000.000 di dollari di capitale necessari per questo investimento esente da rischi.
Come per la Banca d’Inghilterra, il nome della banca - la Banca degli Stati Uniti - fu scelto deliberatamente per occultare il fatto che era controllata da privati e, sempre come nel caso della Banca d’Inghilterra, i nomi degli investitori non furono mai resi noti.
La banca fu presentata al Congresso come un mezzo per garantire stabilità al sistema bancario e per eliminare l’inflazione. Cosa accadde? Nel corso dei primi cinque anni di attività, il Governo degli Stati Uniti prese a prestito dalla Prima Banca degli Stati Uniti 8,2 milioni di dollari; in quel periodo i prezzi lievitarono del 72%.
Jefferson, nuovo Segretario di Stato, assistette a tale evento con tristezza e frustrazione, incapace di fermarlo:
Vorrei che fosse possibile ottenere un singolo emendamento alla nostra Costituzione, che impedisse al governo federale di prendere denaro in prestito.
Il Presidente Adams denunciò l’emissione di banconote private come una frode a scapito del pubblico e, in questa ottica, era sostenuto da tutta l’opinione pubblica conservatrice del suo tempo. Perché continuare a dare in appalto a banche private, in cambio di nulla, una prerogativa del governo?
Milioni di americani oggi provano la stessa sensazione; essi osservano, frustrati, mentre il governo federale porta il contribuente americano nell’oblio - prendendo a prestito da ricchi e banche private quel denaro che il governo ha l’autorità e il dovere di emettere da sé, senza interessi.
Così, sebbene si chiamasse la Prima Banca degli Stati Uniti, non si trattava del primo tentativo di fondare una banca centrale di proprietà privata negli USA. Così come per le altre due, la Banca d’Inghilterra e la Banca del Nord America, il governo fornì il capitale per avviare questa banca privata e quindi i banchieri si prestarono l’un l’altro il denaro per acquistare le rimanenti azioni della banca stessa.
Si trattò di una truffa, pura e semplice - ed essi non sarebbero stati in grado di protrarla a lungo.


La fine della Prima Banca Centrale degli Stati Uniti e la guerra del 1812

Mentre Napoleone si trovava in esilio, temporaneamente sconfitto dall’Inghilterra con l’aiuto finanziario dei Rothschild, anche l’America stava cercando di liberarsi della propria banca centrale.
Nel 1811 fu presentato al Congresso un progetto di legge per rinnovare lo statuto della Banca degli Stati Uniti; il dibattito divenne incandescente ed entrambi i corpi legislativi della Pennsylvania e della Virginia avanzarono delle mozioni che richiedevano al Congresso di porre fine alla vita della banca.
Gli uffici stampa dell’epoca attaccarono apertamente la banca, definendola “una grande truffa”, un “avvoltoio”, una “vipera” e un “cobra”; ah, se avessimo di nuovo una stampa indipendente in America!
Un congressista di nome P. B. Porter attaccò la banca dal pavimento del Congresso, avvertendo profeticamente che, se lo statuto della banca fosse stato rinnovato, il Congresso “avrà allevato nel seno di questa Costituzione una vipera che un giorno o l’altro colpirà al cuore le libertà di questa nazione”.
Le prospettive per la banca non erano delle più rosee. Alcuni scrittori hanno affermato che Nathan Rothschild avvertì che se lo statuto della banca non fosse stato rinnovato, gli Stati Uniti si sarebbero trovati coinvolti in una guerra tra le più disastrose; questo però non fu sufficiente.
Una volta che il fumo si era disperso, il progetto di rinnovamento fu sconfitto alla Camera da un solo voto e si arrestò al Senato.
All’epoca alla Casa Bianca c’era James Madison, quarto Presidente degli Stati Uniti, il quale - ricorderete - era un convinto avversario della banca. Il suo Vice Presidente, George Clinton, ruppe un legame in Senato e consegnò la Prima Banca degli Stati Uniti - la seconda banca centrale di proprietà privata in territorio americano - all’oblio. Così la Terza Guerra Bancaria Americana, durata vent’anni, si concluse con la sconfitta dei Cambiavalute.
Nel giro di cinque mesi, così come si dice avesse predicato Rothschild, L’Inghilterra attaccò gli Stati Uniti ed iniziò la guerra del 1812 la quale, essendo gli Inglesi ancora impegnati a combattere Napoleone, terminò nel 1814 senza vincitori né vinti.
Risulta interessante notare che, nel corso di questa guerra, la Tesoreria degli USA stampò una certa quantità di valuta cartacea governativa per finanziare lo sforzo bellico - evento che non si sarebbe più ripetuto fino alla Guerra Civile.
Sebbene i Cambiavalute fossero temporaneamente sconfitti, non stavano comunque con le mani in mano; sarebbero bastati loro soltanto altri due anni per presentare una quarta banca centrale privata, più grande e più forte di quella precedente.


Estratto dal libro del video THE MONEY MASTERS: How International Bankers Gained Control of America
Pubblicato e riveduto nel 1998 da Royalty Production Company PO Box 114, Piedmont OK 73078, USA
www.themoneymasters.com

domenica 30 novembre 2014

I Rothschild, i veri padroni del mondo (I°parte): tutto comincia in Europa


Nel 1743, cinquant’anni dopo che la Banca d’Inghilterra aveva aperto i battenti, un orafo di nome Amschel Moses Bauer inaugurò un conio di monete - un ufficio di contabilità - e sull’entrata collocò un’insegna rappresentante un’aquila Romana su uno scudo rosso; il negozio divenne noto come la ditta dello Scudo Rosso o, in lingua tedesca, Rothschild. Quando il figlio Mayer Amschel Bauer ereditò l’attività decise di cambiarsi il nome, assumendo per l’appunto quello di Rothschild.
Mayer Rothschild imparò ben presto che prestare denaro a governi e monarchi era assai più vantaggioso che farlo nei confronti di singoli privati; non solo i prestiti erano di maggiore entità, ma venivano anche assicurati dalle tasse delle varie nazioni.
Mayer Rothschild aveva cinque figli. Egli li addestrò tutti nelle segrete tecniche di creazione e manipolazione di denaro e quindi li inviò nelle principali capitali europee per aprire filiali della banca di famiglia. Le sue volontà stabilirono che uno dei figli di ogni generazione avrebbe diretto gli affari di famiglia; le donne erano escluse.
Il primogenito di Mayer, Amschel, rimase a Francoforte per occuparsi della banca della città natale; il secondogenito, Salomon, fu spedito a Vienna; il terzo figlio, Nathan, che era chiaramente il più abile, fu mandato a Londra nel 1798, all’età di 21 anni, un secolo dopo la fondazione della Banca d’Inghilterra; il quarto figlio, Karl, si recò a Napoli; il quinto figlio, Jakob (James), andò a Parigi.
Nel 1785 Mayer trasferì l’intera famiglia in un’abitazione più grande, un edificio a cinque piani condiviso con la famiglia Schiff; tale edificio era conosciuto col nome di casa dello Scudo Verde. I Rothschild e gli Schiff avrebbero avuto un ruolo di primaria importanza nella storia finanziaria dell’Europa, degli Stati Uniti e del resto del mondo; il nipote di Schiff si trasferì a New York ed aiutò a finanziare il colpo di stato bolscevico del 1917 in Russia.
I Rothschild si misero in affari con i reali europei a Wilhelmshöhe, la reggia dell’uomo più ricco della Germania - in effetti il monarca più ricco di tutta l’Europa - il Principe Guglielmo di Hesse-Cassel. All’inizio i Rothschild consigliavano Guglielmo soltanto in merito a speculazioni relative a monete preziose. Tuttavia, quando Napoleone costrinse il Principe Guglielmo all’esilio, quest’ultimo inviò a Londra a Nathan Rothschild 550.000 sterline (che all’epoca erano una somma enorme, equivalente a svariati milioni di dollari del giorno d’oggi) perché fossero impiegate per acquistare titoli consolidati - obbligazioni o titoli statali britannici - ma Rothschild utilizzò il denaro per i propri affari; con Napoleone in giro, le opportunità di investimenti bellici altamente remunerativi erano pressoché illimitate.
Guglielmo ritornò a Wilhelmshöhe qualche tempo prima della battaglia di Waterloo del 1815; egli convocò i Rothschild e pretese la restituzione del suo denaro. I Rothschild restituirono il denaro di Guglielmo, con l’otto per cento di interesse che i titoli britannici gli avrebbero fruttato se l’investimento fosse stato effettivamente fatto; i Rothschild, però, tennero per sé gli ingenti profitti di guerra che avevano conseguito utilizzando il denaro di Guglielmo - losca pratica in ogni secolo.
In parte con questi metodi, Nathan Rothschild riuscì a vantarsi, in seguito, di aver aumentato, in 17 anni trascorsi in Gran Bretagna, l’originale capitale di 20.000 sterline affidatogli dal padre di 2.500 volte, vale a dire fino a 50.000.000 sterline - una somma davvero considerevole per quei tempi, comparabile al potere d’acquisto di miliardi di dollari dei nostri giorni.
Agli inizi del 1817, il ministro del Tesoro Prussiano, nel corso di una visita a Londra, scrisse che Nathan Rothschild aveva:
...una incredibile influenza su tutte le transazioni finanziarie qui a Londra. Viene ampiamente affermato...che egli regola completamente il tasso di cambio nella City. Il suo potere in quanto banchiere è enorme.
Nel 1818 il segretario del principe austriaco Metternich, scrivendo dei Rothschild, affermava che:
...essi sono le persone più ricche d’Europa.
Le banche dei Rothschild, cooperando all’interno della famiglia e utilizzando le tecniche di riserva frazionale bancaria, divennero incredibilmente ricche. Verso la metà del 1800 essi dominavano tutto il sistema bancario europeo ed erano sicuramente la famiglia più ricca del mondo; una considerevole parte della dissoluta nobiltà europea era fortemente indebitata con loro.
In virtù della loro presenza come banchieri in cinque nazioni, i Rothschild erano in effetti autonomi, un’entità indipendente dai paesi nei quali operavano. Se le direttive politiche di una nazione non favorivano loro o i loro interessi, essi potevano semplicemente non concedere ulteriori crediti in loco, oppure concederne a quelle nazioni o gruppi che contrastavano tali direttive. Soltanto loro erano a conoscenza dei luoghi in cui erano depositate le loro riserve d’oro e di altro genere, così da essere protetti da confische, multe, pressioni o tassazioni governative, rendendo così ogni revisione dei conti o indagine nazionale effettivamente insensata; soltanto loro erano a conoscenza dell’abbondanza (o della scarsità) delle proprie riserve frazionali, sparpagliate in cinque nazioni - il che rappresentava un enorme vantaggio rispetto a semplici banche nazionali impegnate a costituire una riserva frazionale.
Fu proprio il carattere internazionale delle banche dei Rothschild che conferì loro dei vantaggi unici sulle banche nazionali e sui governi; e questo fu esattamente ciò che i legislatori e i parlamenti nazionali avrebbero dovuto proibire, cosa che però non fecero. Tale situazione rimane inalterata per quanto riguarda le banche internazionali o multinazionali proprie dei nostri tempi e costituisce la forza trainante della globalizzazione - la spinta verso un governo mondiale.
I Rothschild concessero enormi prestiti per acquisire monopoli in svariate industrie, garantendo in questo modo la capacità dei debitori di restituire i prestiti alzando i prezzi senza paura della concorrenza, incrementando al contempo il potere politico ed economico dei Rothschild. Essi finanziarono Cecil Rhodes, consentendogli di instaurare un monopolio sui terreni auriferi del Sudafrica e sui diamanti DeBeers; in America finanziarono la monopolizzazione delle ferrovie.
La National City Bank di Cleveland, che nel corso delle udienze congressuali è stata riconosciuta come una delle tre banche dei Rothschild negli Stati Uniti, ha fornito a John D. Rockefeller il capitale per iniziare la sua monopolizzazione nel settore della raffinazione del petrolio, cosa che ha poi portato alla fondazione della Standard Oil.
Jacob Schiff, nato nella casa dello Scudo Verde dei Rothschild a Francoforte e quindi loro agente principale negli Stati Uniti, consigliò Rockefeller e architettò il famigerato accordo di rimborso che quest’ultimo richiese segretamente ai petrolieri rivali che trasportavano per ferrovia. Queste stesse ferrovie erano già state monopolizzate dal controllo dei Rothschild tramite gli agenti ed alleati J. P. Morgan e Kuhn, Loeb & Company (Schiff faceva parte del Consiglio) che, assieme, controllavano il 95% di tutta la percorrenza delle ferrovie statunitensi.
Nel 1850 si stimò che il capitale di James Rothschild, erede del ramo francese della famiglia, ammontasse a 600 milioni di franchi francesi - cioè 150 milioni in più di tutti gli altri banchieri di Francia messi assieme. James era stato collocato a Parigi da Mayer Amschel nel 1812 con un capitale di 200.000 dollari; all’epoca della sua morte, nel 1868, cinquantasei anni più tardi, il suo reddito annuale ammontava a 40.000.000 di dollari. In quel periodo in America non vi era fortuna che eguagliasse nemmeno il reddito di un solo anno di James.
Il poeta Heinrich Heine riferendosi a James Rothschild disse:
Il denaro è il dio dei nostri tempi, e Rothschild è il suo profeta.
James costruì la sua favolosa magione, chiamata Ferrières, 19 miglia a nordest di Parigi. Guglielmo I, vedendola per la prima volta, esclamò:
I Re non possono permettersi una cosa del genere. Può appartenere solo ad un Rothschild!
Un altro commentatore francese del 19mo secolo la mette in questi termini:
C’è un unico potere in Europa, ed è quello dei Rothschild.
Non vi è alcun indizio che il ruolo predominante dei Rothschild nella finanza europea o mondiale sia mutato; al contrario, con l’aumentare della loro ricchezza, essi hanno semplicemente incrementato la loro ‘passione per l’anonimato’. I loro vasti possedimenti raramente ne riportano il nome.
Lo scrittore Frederic Morton ha scritto che i Rothschild avevano:
...conquistato il mondo in modo più completo, più astuto e molto più durevole di quanto non abbiano fatto in precedenza tutti i Cesari...


L'ascesa al potere di Napoleone in Francia

Ora dobbiamo ritornare in Europa per vedere come un singolo individuo fu in grado di manipolare l’intera economia britannica ottenendo le prime notizie della sconfitta finale di Napoleone.
Nel 1800 a Parigi la Banca di Francia era organizzata secondo schemi simili a quelli della Banca d’Inghilterra. Napoleone, però, decise che la Francia doveva liberarsi dei propri debiti; egli non si fidò mai della Banca di Francia, anche quando collocò alcuni dei suoi parenti nel consiglio direttivo.
Napoleone dichiarò che quando un governo dipende dai banchieri per ottenere del denaro, i banchieri - e non i rappresentanti del governo - detengono il controllo:
La mano che dà sta sopra quella che prende. Il denaro non ha patria; i finanzieri non hanno né decenza né patriottismo: il loro unico scopo è il guadagno.
Egli intuì chiaramente i pericoli ma non intravide le appropriate contromisure o soluzioni.
Tornando in America, l’aiuto inatteso stava per giungere. Nel 1800 Thomas Jefferson sconfisse di stretta misura John Adams nella corsa alla terza presidenza degli Stati Uniti e, nel 1803, Jefferson e Napoleone avevano stipulato un accordo, secondo il quale gli USA avrebbero pagato 3.000.000 di dollari in oro in cambio di un vasto territorio ad ovest del fiume Mississippi; l’acquisto della Louisiana.
Con quei tre milioni di dollari in oro, Napoleone mise velocemente in piedi un esercito e iniziò a scorrazzare in Europa, conquistando tutto ciò che trovava sul suo cammino. Tuttavia l’Inghilterra e la Banca d’Inghilterra si apprestarono in fretta ad opporglisi e finanziarono ogni nazione sul suo cammino, raccogliendo gli enormi profitti di guerra; la Prussia, l’Austria ed infine la Russia si indebitarono pesantemente nel futile tentativo di fermare Napoleone.
Quattro anni più tardi, mentre il grosso dell’esercito francese si trovava in Russia, il trentenne Nathan Rothschild - direttore dell’ufficio londinese della propria famiglia - si incaricò personalmente di un ardito piano per contrabbandare una spedizione assai necessaria di oro proprio attraverso la Francia, il cui scopo era finanziare un attacco dalla Spagna da parte del britannico Duca di Wellington.
Nathan in seguito nel corso di una cena con amici si vantò del fatto che quello era il migliore affare che avesse mai fatto. Egli guadagnò denaro per ogni fase della spedizione; non sapeva ancora che nel prossimo futuro avrebbe fatto di meglio.
Gli attacchi di Wellington da sud ed altre sconfitte alla fine costrinsero Napoleone ad abdicare; Luigi XVIII fu incoronato Re e Napoleone esiliato nell’isola d’Elba, presumibilmente per sempre.


La battaglia di Waterloo

L'episodio di Napoleone dimostra appropriatamente la furbizia della famiglia Rothschild nell’acquisizione del controllo del mercato azionario inglese dopo Waterloo.
Nel 1815, un anno dopo la fine della guerra del 1812, Napoleone fuggì dal proprio esilio e ritornò a Parigi. Delle truppe francesi furono inviate a catturarlo, ma il suo carisma era tale che i soldati accorsero in aiuto del loro vecchio comandante e lo acclamarono di nuovo come loro Imperatore; Napoleone tornò a Parigi come un eroe. Re Luigi scappò in esilio e Napoleone ascese nuovamente al trono di Francia – stavolta senza che venisse sparato nemmeno un colpo.
Nel marzo del 1815, Napoleone mise in piedi un esercito che l’inglese Duca di Wellington sconfisse meno di 90 giorni più tardi a Waterloo. Egli prese a prestito cinque milioni di sterline dalla banca Ouvard di Parigi per riarmare le truppe; nondimeno, da allora in avanti, non fu più inusuale che banche centrali a controllo privato in una guerra finanziassero entrambi i contendenti.
Perché una banca centrale in una guerra dovrebbe finanziare i fronti opposti? Perché la guerra è il più grande generatore di debiti in assoluto. Una nazione per vincere prenderà a prestito qualsiasi somma. Al perdente finale viene prestato solo quel tanto sufficiente a conservare una vaga speranza di vittoria, mentre al vincitore finale viene dato quanto basta a vincere. Oltre a ciò, i prestiti di questo tipo vengono normalmente concessi con la garanzia che il vincitore onorerà i debiti dello sconfitto; solo i banchieri non possono perdere.
Il luogo della battaglia di Waterloo si trova a circa 200 miglia a nordest di Parigi, nell’attuale Belgio; lì Napoleone subì la sua ultima sconfitta, tuttavia non prima che migliaia di francesi e inglesi perdessero le proprie vite in un umido mattino del giugno del 1815.
Quel giorno, il 18 giugno, 74.000 soldati francesi si scontrarono con 67.000 soldati britannici e di altre nazioni europee; l’esito era sicuramente incerto e, in effetti, se Napoleone avesse attaccato qualche ora prima, probabilmente avrebbe vinto la battaglia.
Tuttavia, indipendentemente da chi fossero i vincitori e i perdenti, Nathan Rothschild di ritorno a Londra utilizzò l’opportunità di acquisire il controllo del mercato azionario britannico; i Rothschild contestano aspramente il resoconto che segue.
Rothschild piazzò sul lato nord del campo di battaglia, vicino alla Manica, un agente fidato, tale Rothworth. Una volta che l’esito della battaglia fu deciso, Rothworth si diresse verso la Manica e diede a Nathan Rothschild le notizie fresche ventiquattr’ore prima del corriere personale di Wellington.
Rothschild si recò velocemente alla Borsa e occupò il suo posto usuale di fronte a un’antica colonna; tutti gli occhi erano su di lui. I Rothschild disponevano di una leggendaria rete di comunicazione. Se Wellington era stato sconfitto e Napoleone di nuovo in giro per il continente, la situazione finanziaria britannica avrebbe preso certamente una pessima piega. Rothschild appariva affranto, se ne stava immobile, gli occhi rivolti a terra. Poi, improvvisamente, iniziò a vendere.
Gli altri nervosi investitori videro che Rothschild stava vendendo; questo poteva significare solo una cosa: Napoleone doveva aver vinto e Wellington doveva essere stato sconfitto. La Borsa andò a picco. Ben presto tutti si trovarono a vendere i propri titoli consolidati - obbligazioni del governo inglese ed altre azioni - e i prezzi calarono. Poi Rothschild ed i suoi alleati finanziari iniziarono segretamente a comprare tramite i propri agenti.
Pensate che si tratti di un mito, di una leggenda? Un centinaio di anni dopo, il New York Times riportò la notizia secondo cui il nipote di Nathan Rothschild aveva tentato di procurarsi la sentenza di una corte per eliminare un libro contenente questa vicenda della Borsa; la famiglia Rothschild dichiarò che questa storia era falsa e diffamatoria, tuttavia la corte respinse la richiesta dei Rothschild ed ingiunse alla famiglia di pagare tutte le spese processuali.
Quello che risulta ancora più interessante di tutta questa faccenda, è che alcuni autori affermano che il giorno dopo la battaglia di Waterloo, nel giro di poche ore, Nathan Rothschild ed i suoi alleati finanziari acquisirono il dominio non solo del mercato azionario ma anche della Banca d’Inghilterra. (Una caratteristica interessante di alcuni titoli consolidati era che potevano essere convertiti in azioni della Banca d’Inghilterra)
L’apparentamento con i Montefiore, i Cohen e i Goldsmith - dinastie bancarie stabilitesi in Inghilterra un secolo prima dei Rothschild - aumentò il controllo finanziario dei Rothschild; tale controllo venne ulteriormente consolidato tramite l’approvazione del Peel’s Bank Charter Act del 1844.
Che la famiglia Rothschild e relativi alleati finanziari abbiano acquisito o meno il completo controllo della Banca d’Inghilterra (la prima e più ricca banca centrale di proprietà privata in una importante nazione europea) in questo modo, una cosa è certa: verso la metà del 1800 i Rothschild erano la famiglia più ricca del mondo, nessuno eccettuato. Essi dominavano i mercati delle nuove obbligazioni statali e aprirono filiali presso altre banche e imprese industriali in tutto il mondo; inoltre dominavano una costellazione di famiglie secondarie meno influenti, come i Warburg e gli Schiff, che accomunarono la loro vasta ricchezza a quella dei Rothschild.
Infatti la seconda metà del 19mo secolo fu nota col nome di “Era di Rothschild”. Lo scrittore Ignatius Balla stimò che la loro ricchezza personale nel 1913 ammontasse ad oltre due miliardi di dollari. Ricordate che il potere d’acquisto del dollaro era maggiore di più del 1.000 per cento rispetto ad oggi. Nonostante questa schiacciante ricchezza, la famiglia in genere ha coltivato un’aura di invisibilità e sebbene essa controlli gli introiti di società bancarie, industriali, commerciali, minerarie e turistiche, solo una manciata di esse porta il loro nome. Alla fine del 19mo secolo un esperto stimò che la famiglia Rothschild controllasse la metà della ricchezza mondiale.
Qualunque sia l’entità della loro vasta ricchezza, è ragionevole presumere che la loro percentuale della ricchezza mondiale da allora sia aumentata spettacolarmente, poiché il potere persegue il potere ed il desiderio di esso.
Tuttavia con l’arrivo di questo secolo, i Rothschild hanno attentamente coltivato la nozione che il loro potere sia in qualche modo diminuito, anche se la loro ricchezza e quella dei loro alleati finanziari aumenta in concomitanza con il loro controllo di banche, società indebitate, media, politici e nazioni, il tutto tramite delegati, agenti, candidati e consigli di amministrazione interconnessi, che mantengono il loro ruolo nell’ombra.


Estratto dal libro del video THE MONEY MASTERS: How International Bankers Gained Control of America
Pubblicato e riveduto nel 1998 da Royalty Production Company PO Box 114, Piedmont OK 73078, USA
www.themoneymasters.com

lunedì 24 novembre 2014

La calvizie? Troppe proteine animali!


Il consumo in eccesso di proteine, soprattutto di quelle di origine animali, è una delle cause della calvizie maschile
È quanto sostiene la dottoressa Jennifer Martinick, chirurga estetica specializzata nel trapianto di capelli, assieme ad alcuni ricercatori dell’Università di Perth (Australia) che hanno condotto diversi studi sul nesso tra calvizie maschile ed eccesso di proteine.

I ricercatori sono partiti da un dato di fatto: l’aumento dei casi della caduta dei capelli ed il costante incremento dei ricorsi alla chirurgia anti calvizie (trapianto dei capelli), stimato intorno al 30% nel solo 2011. 
Il fenomeno della calvizie maschile pare che interessi soprattutto i giovani che seguono una dieta particolarmente proteica.
L’allarme riguarda soprattutto giovani, palestrati e atleti.
Gli esperti fanno notare che la caduta dei capelli interessa sempre un maggior numero di giovani, tra questi anche assidui frequentatori di palestra e atleti. Tale osservazione non va sottovalutata, in quanto la causa della calvizie maschile potrebbe risiedere nella dieta quotidiana spesso caratterizzata da un eccesso di proteine.

Nella dieta occidentale vi è un consumo troppo elevato di grassi animali, spiega la dottoressa Martinick, inoltre molti giovani frequentano la palestra e fanno spesso ricorso a sostanze come la creatina o le proteine isolate dal siero del latte per potenziare la muscolatura, ma non sanno che un eccesso di proteine potrebbe comportare o accelerare la comparsa della calvizie maschile.
L’allarme dell' incidenza dell’eccesso di proteine sulla calvizie maschile è pertanto rivolto in particolar modo agli atleti e ai giovani che seguono una dieta mirata per migliorare il proprio fisico e, nella maggior parte dei casi, impiegano dei composti iperproteici. 

Tuttavia ad essere a rischio di calvizie maschile vi sono anche gli uomini che danno troppa importanza all’estetica.
Ebbene si, gli uomini che ritengono l’estetica fondamentale e che ricorrono al botox per apparire sempre belli, potrebbero però ottenere l’effetto contrario. 
Pare infatti, che oltre all’eccesso di proteine, anche il botox abbia una certa responsabilità nella caduta dei capelli. 

A fronte di ciò, la dottoressa Martinick invita a curare maggiormente l’alimentazione , ridurre la quantità di proteine animali e aumentare le dosi di frutta e verdura, in quanto la calvizie maschile non si può sempre evitare ma certamente le corrette abitudini di vita possono ridurre il rischio di una caduta dei capelli precoce.

venerdì 21 novembre 2014

Miti da sfatare: il falso mito del progresso


La lotta continua tra progresso e conservazione è da sempre una costante nella storia dell’umanità.
La continua ricerca del progresso fissa nel futuro un traguardo da raggiungere, ignorando il presente e rendendolo schiavo di un’angoscia e di un malessere strisciante e continuo, mascherato da un finto ottimismo privo di radici.
Particolarmente in occidente ci troviamo di fronte ad una concezione dualistica, tipicamente moderna, in cui il progresso e la tecnologia sono visti o come demoni a cui attribuire le cause di tutti i nostri problemi, oppure come dei “Messia” capaci di risollevare le sorti della nostra società; da questa osservazione appare però chiaro un punto in comune: il malessere esistenziale.
Tutto ciò circa il presente.
Nel passato possiamo invece notare come il concetto di “progresso” sia un’invenzione relativamente recente
Prendendo come riferimento la classicità greca notiamo infatti, come l’uomo fosse strettamente legato alle proprie scoperte, e più in generale alle proprie speculazioni, non solo da un punto di vista fisico, ma anche spirituale in quanto ogni nuova conoscenza veniva integrata totalmente nella cultura; questo permetteva una visione del tempo strutturata soltanto sul presente, senza il mito di un passato glorioso, né di un preoccupante futuro. 

Il concetto attuale di progresso è invece strettamente collegato al tempo: l’uno senza l’altro sono privi di significato e l’uomo vive proiettando nel futuro la soluzione dei suoi attuali problemi, anziché interessarsi ad un presente complesso e a volte incerto, ma reale e perciò intrinseco all’uomo.
La causa del malessere della società moderna si può riportare alla “rincorsa temporale” in cui il genere umano, intento nell’inseguimento del mito del progresso, perde di vista la sua componente personale, la parte spirituale insita in ciascuno che lo guida nella pura ricerca, necessaria per l’accrescimento individuale.
Questa scissione si palesa ogni qualvolta ci riferiamo alla scienza; essa, pur essendo parte integrante della vita quotidiana moderna, viene definita come entità astratta al di fuori dell’uomo, creatrice di un Futuro di giustizia e bontà.
La facile reperibilità di informazioni priva gradualmente la nuova società del gusto della ricerca, le così dette “Generazioni 2.0” vivono di informazioni istantanee, spesso superficiali, che non  costano fatica e, di conseguenza, non entrano a far parte del nostro Essere rimanendo così estranee ed impossibili da implementare.

Non è importante la meta, ma il cammino” affermavano i pellegrini medievali e nonostante questa frase possa suonare a noi, uomini moderni, eccessivamente romantica,  nell’accezione più dispregiativa del termine, essa rimane la sostanziale la spiegazione della vita umana.
Ascesi, illuminazione, gnosi sono solo alcuni dei termini diversi attribuiti allo stesso concetto: la ricerca, quella stessa che viene annichilita giornalmente.
Siamo così assuefatti dal cosiddetto progresso da non riuscire più a sopportare la fatica intellettuale della ricerca, perché essa implica che noi diventiamo parte della ricerca stessa, con i nostri dubbi, le nostre incertezze, il nostro essere e contemporaneamente ammette un possibile fallimento: l’uomo moderno non riuscendo a sopportare l’idea della non riuscita, rinuncia al percorso stesso.
Rifiutando la ricerca, rifiutiamo il motivo di nascita della scienza: l’accrescimento, fisico-intellettuale e spirituale dell’uomo.
Ora, essendoci così staccati dalla “ricerca che è in noi” come possiamo credere che il futuro possa derivare da un progresso esterno?
Fino a che l’uomo non riporterà il progresso dentro se stesso, nulla potrà mai cambiare. 
Secoli di razionalismo ci hanno portato a credere che l’accettazione dei limiti della tecnologia, derivata dell’intelletto, significhi anche affermazione dell’impotenza dell’uomo sulla sua storia, senza capire che di pari passo all’accrescimento tecnologico ci deve essere un accrescimento individuale, dalla cui unione nascerà la nuova società tanto osannata dai cultori del progresso.
Da qui appare chiaro come l’eterna lotta tra progresso e conservazione risulti inesistente in quanto non sarebbe il ritorno “fisico” al passato a determinare il miglioramento del genere umano, bensì il ritorno ad un unione di spirito e corpo, così tanto disprezzata dall’Occidente ma così importante per l’umanità.

L'articolo è di Andrea Renzi

lunedì 10 novembre 2014

I quattro veleni bianchi che riempiono le nostre cucine: sale, zucchero raffinato, farina bianca e latte


Veleno è, dal punto di vista fisico, qualsiasi sostanza che inibisce l'attività di un catalizzatore che sia una sostanza secondaria, chimica o un enzima che attiva la reazione. 
Da studi scientifici, anche se ammessi nella nostra alimentazione, sale, zucchero raffinato, farina bianca e latte sono la causa di molti dei nostri problemi di salute, nonchè dell’obesità.


Il sale

Un adulto medio, nella sua alimentazione, ha bisogno al massimo di 1 kg di sale all’anno mentre  purtroppo la media nei paesi civilizzati è di circa 10 kg all’anno.
Questo accade perché non solo viene usato in grandi quantità nei condimenti, è anche usato in abbondanza in diversi alimenti snack, patatine, fritti, salumi e formaggi stagionati.
Il sale viene ripulito chimicamente e ridotto a cloruro di sodio. Da allora i minerali e gli oligoelementi essenziali vengono semplicemente considerati delle "impurità" e come tali vengono eliminati. Purtroppo il cloruro di sodio, così isolato e innaturale, non ha più niente a che vedere con la natura, con l'integralità o con il sale genuino. 
Quando assumi più sale del dovuto il tuo corpo deve compensare trattenendo i liquidi per mantenere il sale in soluzione e questo comporta gonfiori, sensazione di pesantezza e la famosa ritenzione idrica causa di tanti inestetismi. 
Altri  effetti sono pressione alta, cattiva digestione, insonnia, tic nervosi, stanchezza cronica, perdita di calcio nelle ossa.


Lo zucchero raffinato

Fin da quando sei bambino, in molti casi, ti fanno associare la felicità a qualcosa di dolce e zuccherato come una caramella, un gelato o un dolce.
Da adulti si continua con questa potente associazione concedendosi spesso il piacere delle gratificazioni con qualche dolce o bevande altamente ricche di zuccheri. 
Basta pensare che la famosa Coca Cola per il 10% è composta di zucchero puro questo significa che per ogni litro (3 lattine) ci sono circa 100 gr di zucchero puro.
Nessun adulto ha bisogno di assumere zucchero extra per la propria alimentazione; basterebbe abituarsi ad assumere alimenti ricchi di carboidrati complessi come la frutta, verdura e cereali integrali che contengono grandi quantità di vitamine e minerali che vengono rilasciati e messi a disposizione per l’organismo.
I carboidrati complessi sono alimenti ricchissimi di energia e di sostanze nutritive per il nostro corpo mentre i carboidrati semplici, derivati dai prodotti dello zucchero, non richiedono tempi di digestione ed entrano subito in circolazione.
Lo zucchero raffinato è assai dannoso quando viene ingerito dagli esseri umani perché fornisce soltanto quelle che gli esperti di nutrizione chiamano come calorie vuote o nude; esso manca dei minerali naturali presenti nella barbabietola e nella canna. Per di più lo zucchero è peggiore di qualsiasi altra cosa in quanto tende a prosciugare e dissolvere dal corpo preziose vitamine e minerali. 
Lo zucchero assunto quotidianamente produce una condizione di continua iperacidità e, nel tentativo di rettificare lo squilibrio, vengono richiesti dal profondo dell'organismo sempre più minerali. Infine, onde salvaguardare il sangue, dalle ossa e dai denti viene preso tanto calcio da dare inizio ad un decadimento ed indebolimento generale.
Quindi basta anche una semplice caramella perché il tuo indice glicemico vada alle stelle innalzando così la quantità di glucosio nel sangue. 
Tutto ciò comporta uno stato di emergenza nel tuo organismo che è costretto a secernere insulina per eliminare lo zucchero in eccesso. Inoltre se continui costantemente ad introdurre livelli di zuccheri sempre più alti rischi di andare incontro a patologie come il diabete
Ulteriori effetti visibile nell’arco della giornata di chi assume elevati zuccheri sono senso di affaticamento, ridotta capacità di concentrazione, poca lucidità mentale, stanchezza cronica, picchi e cali repentini di energia durante la giornata.


La farina bianca

Nel libro di Barry Sears “La Zona” l’autore spiega che il corpo non è bravissimo a scomporre prodotti a base di farina bianca e questo perché non si è ancora adattato a questa invenzione moderna degli anni 50  rispetto ai migliaia di anni di evoluzione.
Quindi quando mangiamo pane, panini, pasta, impasti di ogni tipo, grissini e brioche all’interno del nostro organismo si forma una massa glutinosa che si muove lentamente attraverso il sistema digerente causando sonnolenza e costipazione. Basta assumere prodotti integrali che, non solo saziano l’ appetito, ma contengono grandi quantità vitamine, minerali e proteine nobili recandoti un senso di soddisfazione ed appagamento senza quella fastidiosa pesantezza dopo  pasto.
Con l'eliminazione delle bucce e dei germi dai chicchi di grano ne guadagna il valore culinario e gastronomico del pane, ma si perde sicuramente quello biologico, tant'e' vero che la farina bianca, assieme al sale e allo zucchero raffinati, figura nel gruppo dei tre "veleni bianchi" della moderna alimentazione.
L’eccessiva macinazione della farina bianca per ottenere una consistenza fine che  elimina la maggior parte dei principi nutrienti  rendendo il cibo praticamente morto.
Nè è la prova la nascita e la proliferazione di una malattia "nuova": la celiachia, vale a dire la mancanza di digestione e assimilazione del glutine da parte del nostro organismo.


Il latte

Noi siamo l'unica specie vivente al mondo che si nutre del latte di un’altra specie anche da adulti.
Intorno ai due anni circa, si ha una progressiva riduzione dell’attività del lattasi, che è l’enzima adibito all’assimilazione del latte, fino ad arrivare all’età adulta in cui la sua azione è praticamente inesistente (riduzione di circa il 90-95%). 
Il tutto porta ad una intolleranza più o meno grave che può sfociare con diversi effetti collaterali quali gonfiori, irritazione del tratto intestinale, coliche, allergie,e molto altro. Inoltre l'abuso di latte è una delle principali cause dell'osteoporosi.
Anche se fosse l’alimento più salutare della terra, il latte viene continuamente contaminato da antibiotici, ormoni della crescita, erbicidi, pesticidi e nonostante la sua sterilizzazione è ampiamente dimostrato che i germi continuano a sopravvivere.