martedì 3 febbraio 2015

La new economy (III° parte): gli scenari futuri


Nel corso della fase espansiva della new economy si è assistito allo spostamento della creazione monetaria dalla sfera bancaria a quella finanziaria borsistica. Le banche centrali, e quella americana in particolare, hanno di fatto assecondato la domanda di liquidità proveniente dalle attività finanziarie, al punto che oggi si rimprovera ad Alan Greenspan di non essere intervenuto per tempo a smorzare gli eccessi borsistici aumentando i tassi di interesse. Il fatto è che i processi di mimetizzazione su scala mondiale all’origine dello spostamento del risparmio collettivo sui mercati borsistici hanno avuto riscontri reali negli aumenti di produttività del lavoro. Il problema è che la crescita borsistica ha avuto effetti prevalentemente sul lato della offerta di beni e servizi, in particolare nel settore delle tecnologie comunicative, fino a scatenare una crisi da sovrapproduzione.
I titoli azionari che hanno lubrificato la new economy non sono propriamente monete. La loro liquidità è solo parziale nel senso che non sono accettate come strumenti universali di scambio. Tuttavia, il loro spazio di circolazione è ormai straordinariamente vasto, non solo in quanto mezzi di riserva, ma anche in quanto mezzi di scambio per determinate transazioni. Lo si vede quando un’impresa ne acquista un’altra con l’aiuto delle proprie azioni, o meglio ancora quando un dirigente accetta d’essere remunerato con stocks options. Per questa ragione possiamo considerare le azioni come costituenti una forma embrionale di moneta anche se non permettono ancora d’acquistare dei beni di consumo. La questione di sapere se questa forma può arrivare a maturità, se può diventare una moneta nel senso pieno del termine, è in un certo senso la sfida posta in essere dalla crisi della new economy perché un tale compimento significherebbe un mutamento radicale del principio di sovranità.
Abbiamo visto come la finanziarizzazione ruoti attorno al concetto di liquidità. Abbiamo anche osservato che la liquidità è una funzione del denaro in cui si rispecchia l’agire dell’opinione pubblica sulla molteplicità dei soggetti partecipanti all’economia dei mercati finanziari. Per funzionare in quanto leva delle scelte/decisioni degli investitori, l’opinione pubblica deve dotarsi di una convenzione o di un modello interpretativo considerato da tutti come vero, ossia dominante. Questa convenzione è prodotta dalla società stessa, si dà storicamente come forma complessiva dei rapporti sociali di produzione, di consumo, di immaginario.
La crescita fenomenale della liquidità finanziaria, che ha portato alcuni a definire la new economy come capitalismo-casinò, segnala in realtà uno spostamento dello spazio di creazione monetaria dalla banca centrale ai mercati finanziari. L’opinione pubblica, il suo agire comunicativo, ha di fatto originato quella.
domanda di liquidità che la banca centrale ha monetizzato nel corso degli anni Novanta. Infatti, l’offerta di moneta è cresciuta, sicuramente negli Stati Uniti ma non solo, indipendentemente da qualsiasi obiettivo quantitativo (pre)fissato dalle autorità monetarie centrali. È invece cresciuta in risposta all’aumento della domanda degli investitori, sia delle imprese che dei cittadini.
Sotto il profilo dell’analisi qualitativa della forma denaro lo spostamento relativo dello spazio di creazione monetaria dalla sfera della banca centrale alla sfera dei mercati finanziari (come già detto sopra, questo non significa che i mercati finanziari creano una loro moneta specifica, distinta da quella creata dalla banca centrale; significa che la banca centrale, per svolgere il suo ruolo di creatore di denaro, in ultima istanza per assicurare la circolazione dei valori, è costretta ad inseguire i movimenti dei mercati finanziari) comporta un cambiamento della natura della sovranità.
Là dove preminente è la creazione di liquidità bancaria, si ha la sovranità dello Stato nazionale. Là dove, invece, è preminente la creazione di liquidità finanziaria, si ha la sovranità dell’opinione pubblica e della convenzione socio-finanziaria che le è storicamente propria. Nel primo caso la forma denaro definisce un modo di appartenenza alla società basato sul principio di cittadinanza. Nel secondo caso, quello della liquidità finanziaria, la forma denaro definisce uno spazio di appartenenza sovranazionale, una cittadinanza globale in cui il regime d’opinione prevale sul regime rappresentativo dello Stato di diritto nazionale.

La finanziarizzazione non ha definito soltanto una fase di crescita economica, ha anche drammatizzato le condizioni di superamento della crisi. Si può sostenere che i tentativi nazionali di uscire dalla crisi economica globale contribuiscono ad approfondire le condizioni per una guerra mondiale. Questo è particolarmente vero nel caso degli Stati Uniti che nel corso del 2002 hanno introdotto misure protezionistiche (tariffe sull’importazione di acciaio, sussidi all’agricoltura) e non hanno fatto nulla per frenare l’aumento del debito pubblico. Ciò malgrado, la crisi economica non è stata per questo superata, anzi le asimmetrie tipiche del sistema monetario e finanziario internazionale, ad esempio l’uso di una moneta nazionale come il dollaro per i pagamenti internazionali oppure il divario dei tassi di interesse reali tra paesi ricchi e paesi poveri, si sono ulteriormente aggravate. In altri termini, la via nazionale alla soluzione dei problemi posti in essere da una economia ormai fortemente globalizzata, porta diritto a misure di intervento bellico, nella speranza che un nuovo modello di opinione pubblica, una nuova convenzione, emerga e permetta di ristabilire la fiducia nell’economia capitalistica.
È probabile che lo scenario che sta prendendo forma sotto l’incalzare della crisi economica e della guerra approfondisca la spaccatura all’interno del blocco dei paesi ricchi (il Nord), non tanto tra i governi europei e quello statunitense, ma tra una popolazione sempre più apolide e un modello socio-economico che non è più in grado di creare consenso. La finanziarizzazione ha attivato forme di denaro fondate sull’agire dell’opinione pubblica, un denaro linguistico perché espressione di un modo di produrre ricchezza in cui la comunicazione svolge un ruolo sempre più determinante. Il divenire linguistico-comunicativo del denaro è ciò che ha maggiormente contribuito al successo della new economy, come pure alla sua crisi. Il denaro ha sempre avuto la funzione di fare astrazione dalle differenze concrete tra i corpi e i valori d’uso delle merci, ma quando l’astrazione ha bisogno della voce per poter funzionare, allora la voce rivela senza mediazioni i bisogni e gli interessi concreti della molteplicità dei soggetti.

Tratto dall'articolo "Il denaro che parla" di Christian Marazzi 
(da «Inoltre», a. V, n. 6, inverno 2002, pp. 9-19)

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