lunedì 20 luglio 2015

Gli integratori alimentari, un business che gioca con la nostra salute (II° parte): alcuni articoli che spiegano la verità


Lo studio dell'università di Copenaghen del 2008

Ecco un articolo del Corriere della Sera del 2008.
Meta-analisi dell'Università di Copenaghen - Secondo l'analisi di studi pubblicati negli anni passati potrebbero aumentare la mortalità (Corriere della Sera, 16 aprile 2008).

“Le pillole a base di integratori vitaminici potrebbero aumentare il rischio di mortalità, accorciando di fatto la vita di chi li assume. 
L'allarme viene da uno studio della Copenaghen University, pubblicato su The Cochrane Collaboration e su JAMA. Gli scienziati, riesaminando 67 studi clinici randomizzati sulle pillole vitaminiche, hanno appurato che non c'è "nessuna prova convincente" che gli integratori facciano bene alla salute, mentre ve ne sarebbero sulla loro dannosità.
La metanalisi, cioè l'analisi di studi già pubblicati [ovvero, il riesame critico alla luce delle conoscenze scientifiche e delle più severe norme interpretative di oggi, di numerosi studi esistenti in letteratura scientifica, NdR], ha preso in considerazione ricerche che hanno coinvolto 232 mila partecipanti, confrontando chi aveva assunto integratori con chi aveva preso solo un placebo o non aveva avuto nessun trattamento. Gli integratori analizzati sono stati il beta-carotene (noto precursore della vitamina A, che è convertito in vitamina A retinolo nel corpo), la vitamina, la C, la E e il selenio.
"Non abbiamo trovato alcuna prova - sottolinea Goran Bjelakovich, il ricercatore che ha guidato la ricerca presso l'Università di Copenaghen - che prendendo integratori antiossidanti si riduca il rischio di morte precoce per persone sane o malate". Anzi, "i risultati mostrano che i soggetti a cui sono state somministrate beta-carotene, vitamina A e vitamina E hanno mostrato un aumento dei tassi di mortalità". Mentre "non vi è stata alcuna indicazione del fatto che la vitamina C e il selenio possano avere effetti positivi o negativi, abbiamo bisogno di più dati".
“Prese separatamente, alla vitamina A è stato associato un 16 per cento di aumento della mortalità, al beta-carotene, un 7 per cento e alla vitamina E un 4 per cento. In sostanza, riassume Bjelakovich, "le attuali evidenze scientifiche sconsigliano l'uso di integratori nella popolazione sana". Antiossidanti dannosi, dunque, ma sul perché i ricercatori non si sbilanciano: probabilmente "il loro uso eccessivo può alterare i processi fisiologici". 
Lo studio originale di Bjelakovich e colleghi é consultabile su JAMA, rivista scientifica molto letta dai medici (che dopo preparatori di palestre e farmacisti sono i maggiori “prescrittori” di integratori), e conferma su ben 232.000 soggetti (non topi o ratti, ma esseri umani in carne e ossa) che gli integratori vitaminici e minerali sono inutili e apparentemente innocui, oppure inutili e addirittura dannosi


Altri due studi: le prove non mancano

Ed ora due studi scelti casualmente tra migliaia, entrambi pubblicati dalla più importante rivista scientifica di nutrizione clinica al mondo, che illustrano chiaramente la differenza abissale in efficacia tra alimenti completi e integratori: 

Il caso della mela e della vitamina c- Verdure e frutta hanno effetti benefici non per i singoli antiossidanti, fosse pure la vit. c "naturale", ma per la combinazione sinergica, questa sì, davvero naturale, dei vari principi attivi. (“Health benefits of fruit and vegetables are from additive and synergistic combinations of phytochemicals”. Rui Hai Liu. American Journal of Clinical Nutrition 78, 3, 517S-520S, September 2003)

Regular consumption of fruit and vegetables is associated with reduced risks of cancer, 
cardiovascular disease, stroke, Alzheimer disease, cataracts, and some of the functional declines associated with aging. Prevention is a more effective strategy than is treatment of chronic diseases. The key question is whether a purified phytochemical has the same health benefit as does the whole food or mixture of foods in which the phytochemical is present. Our group found, for example, that the vitamin C in apples with skin accounts for only 0.4% of the total antioxidant activity, suggesting that most of the antioxidant activity of fruit and vegetables may come from phenolics and flavonoids in apples. We propose that the additive and synergistic effects of phytochemicals in fruit and vegetables are responsible for their potent antioxidant and anticancer activities, and that the benefit of a diet rich in fruit and vegetables is attributed to the complex mixture of phytochemicals present in whole foods. 

I vegetali al naturale riducono il rischio cancro, ma non gli integratori di vitamine c ed e.
“Epidemiologic evidence for vitamin C and vitamin E in cancer prevention”. T Byers and N Guerrero. American Journal of Clinical Nutrition 62, 1385S-1392S.

Antioxidant nutrients have been hypothesized to be protective against cancer. Vitamin C is a major circulating water-soluble antioxidant, and vitamin E is a major lipid-soluble antioxidant. Many case-control and cohort studies have related cancer risk to estimates of nutrient intake derived from food intake reports. Diets high in fruit and vegetables, and hence high in vitamin C, have been found to be associated with lower risk for cancers of the oral cavity, esophagus, stomach, colon, and lung. Diets high in added vegetable oils, and hence high in vitamin E, have been less consistently shown to be associated with cancer protection. This may be because vitamin E offers less protection against cancer or because the estimation of vitamin E intake is less accurate than is the estimation of vitamin C intake. In contrast with the findings from epidemiologic studies based on foods, observational studies of nutrients consumed in supplements and recent experimental trials provide little support for a strong protective role for vitamins C or E against cancer. If vitamins C or E are indeed protective against cancer, that protection may derive from their consumption in complex mixtures with other nutrients and with other bioactive compounds as found in the matrix provided by whole foods.


Lo studio Hennekens

Hennekens et al. Lack of Effect of Long-Term Supplementation with Beta Carotene on the Incidence of Malignant Neoplasms and Cardiovascular Disease. N Engl J Med 1996; 334:1145-1149 May 2, 1996.

Uno studio che ha fatto epoca, noto come “Beta-carotene and retinol efficacy trial” (CARET), condotto su 18 mila fumatori o ex fumatori negli Stati Uniti a partire dal 1983 (era proprio l’epoca dei primi trionfanti esperimenti col beta-carotene sugli animali di laboratorio), fu addirittura interrotto d’urgenza nel gennaio 1996 quando ci si accorse che il gruppo che assumeva i supplementi di vitamina A (30 mg di beta-carotene e 25000 UI di retinolo al giorno) stava avendo molti più tumori ai polmoni (fino a +28%) e più decessi (+17%) del gruppo che riceveva un placebo. 


Lo studio Goodman 

Effetto ancora più marcato ha avuto l’integratore di beta-carotene in compresse su fumatori o esposti all’amianto, proprio le categorie che lo assumevano “per prevenire” o “curarsi”, come si vede nello studio integrale allegato (Goodman et al. 2004):
Goodman et al. The beta-carotene and retinol efficacy trial: incidence of lung cancer and 
cardiovascular disease mortality during 6-year follow-up after stopping beta-carotene and retinol supplements. J Natl Cancer Inst. 2004,96(23),pp.1743-50

Supplementi di betacarotene (20 mg/die), inoltre non riducono i rischi di ricadute e comunque di malattie coronariche fatali in chi già ha subìto un infarto (Rapola et al. 1997) D’altra parte, i supplementi di vitamina C (secondo certe fonti il limite massimo sarebbe addirittura di 2000 mg/die) in realtà aumentano – di molto: fino al 40% – il rischio di ossalati e calcoli ai reni (Massey et al. 2005), e aumentano – di molto: 56% - il rischio di cataratta nelle donne (Rautiainen et al. 2009)


Qualche considerazione

Insomma, unendo le conclusioni dei tre importantissimi studi (che non sono isolati, ma suffragati da altre centinaia) è doveroso trarre le seguenti regole di comportamento alimentare e terapeutico.
Le potenti attività antiossidanti e antitumorali di verdura, frutta, legumi e alimenti integrali 
sono molto probabilmente dovute agli effetti sinergici delle loro varie sostanze fitochimiche. 
Infatti, la vitamina C nelle mele – analizzate con la buccia – fornisce solo lo 0,4% dell’attività antiossidante totale. Il che suggerisce che la maggior parte del potere antiossidante dei cibi vegetali deve provenire da polifenoli e flavonoidi (nel caso della mela, appunto, concentrati nella buccia). E infatti gli studi sugli integratori forniscono pochi sostegni all’ipotesi d’un forte ruolo protettivo per le vitamine isolate C o E contro il cancro. E se pure queste vitamine sono davvero protettive, questo può derivare dalla loro assunzione in miscele complesse insieme con altri nutrienti e altri composti bioattivi, come appunto accade nei cibi integrali.
E questo è un principio generale che vale, con rare eccezioni per tutte le sostanze contenute negli alimenti, quindi vitamine, sali minerali, aminoacidi ecc.
Insomma, nonostante che diversi studi affermino il contrario, non esiste evidenza scientifica che assumere vitamine, minerali, antiossidanti attraverso integratori abbia gli stessi effetti benefici sull'organismo che assumere regolarmente frutta e verdura, concludono i ricercatori nutrizionisti. 
Al contrario, chi consuma integratori può cadere vittima d’una falsa sicurezza, cioè ritenere erroneamente di non dover curare e migliorare la propria alimentazione, dato che “assume già le sostanze” attraverso pillole, tavolette, polveri, soluzioni idroalcoliche ecc. (INRAN).
Neanche nel caso delle bevande gli integratori (salini o minerali) sono indispensabili, utili o sicuri: basta la semplice acqua (di rubinetto o in bottiglia), unita al consumo di verdura e frutta della dieta (v. monografia sulle acque da bere).
In alcuni casi, poi, all’inutilità e inefficacia degli “integratori” si aggiungono sofisticazioni o l’insufficiente percentuale del principio attivo vantato in etichetta rispetto all’olio o al vegetale fresco o al succo del vegetale (p.es. nel caso di alcune capsule di Omega-3), o addirittura l’assenza del principio attivo e del vegetale stesso (p.es. gli antocianosidi specifici), com’è risultato da un’indagine sugli “integratori di mirtillo”.

domenica 21 giugno 2015

Gli integratori alimentari, un business che gioca con la nostra salute (I° parte): per capirne qualcosa in più


Bruce Ames già negli anni Ottanta in una famosissima letter su Science, e poi molti studi odierni, hanno dimostrato che assunto da solo, cioè fuori dei cibi, l’acido ascorbico isolato (“integratore”)  è in realtà mutagenico sulla cellula, e si comporta da ossidante anziché da antiossidanteFino a pochi anni fa si riteneva anche che favorisse i calcoli renali da ossalato di calcio; oggi non è più sicuro. Su una review di Food Chemical Toxicology (1984) si vide che l’eccesso di vitamina C ha affetti molto negativi, analoghi a quelli di una carenza grave: si riducono i livelli del polienzima citocromo P450, è compromessa la sintesi della emoproteina, è ridotta l’attività dell’enzima cholesterol-7alfa-idrossilasi che comanda la degradazione del colesterolo, aumentando il colesterolo nel fegato e nel sangue, e riducendo il ciclo degli acidi biliari.

Ma a parte l’efficacia nulla, anche l’ assorbimento è inferiore nel caso della vitamina isolata.
Anche a basse dosi, è stato provato su 19 soggetti che la vitamina C assunta con la frutta al naturale o nel succo di frutta fresco ha una più alta biodisponibilità, cioè si assorbe molto di più (oltre il 35% in più), della stessa vitamina assunta da sola, cioè come integratore (Vinson & Bose, Univ. Pennsylvania). Su 8 soggetti, 500 mg di ascorbato e l’equivalente sotto forma di succo d’arancia hanno dato in media, misurando l’area sottostante alle curve del grafico, una concentrazione della seconda forma vitaminica nel sangue di 797 ± 82, anziché 590 ± 117, cioè il 35% in più.
I bioflavonoidi largamente presenti in verdure (peperoni ecc.) e frutta (secondo numerosissimi studi, tanto che ora sono contenuti anche in parecchie formulazioni di integratori di vit.C), e anche (per Szent-Gyorgyi) germe di grano e lievito di birra, sono stati considerati le sostanze nutrizionali e i cibi più sinergici con la vitamina C.
Non parliamo poi della vitamina A, del beta-carotene o, peggio, dell’ancor più tossico retinolo, o della vitamina D ("per le ossa"), o del complesso antiossidante "ACE più selenio", in cui le tre vitamine-star si accompagnano al più rischioso dei minerali "antiossidanti", così popolare che oggi te lo rifilano perfino nelle bibite da supermercato discount, dove ormai è difficile trovare aranciate e bibite senza vitamine aggiunte. Questa moda non ha niente a che fare con l’alimentazione naturale, anzi è il suo opposto: è una stupida e pericolosa farmaco-mania.

Perché, appunto, si tratta di farmaci, anche quando la vitamina è definita "naturale", estratta da piante o frutta, e non di "supplementi alimentari", secondo un trucco che evita ai produttori farmaceutici di provarne l’innocuità con lunghi e costosi test. Perciò queste vitamine estratte (o sintetizzate, è lo stesso), questi integratori isolati, sono poco o per nulla provati scientificamente sull’uomo, nonostante il loro diffuso uso spontaneo ovunque (negli Stati Uniti la vitamina C si compra in drogheria, anche a etti), prendendo alla lettera le eccentriche prescrizioni di quegli originali Pauling e Szent-Györgyi, entrambi premi Nobel, che oggi, con le attuali conoscenze che riducono molto l’impiego della vitamina C isolata, sarebbero molto criticati dalla comunità scientifica.
Integratori “naturali”? Macché. Il termine “naturale” non si riferisce solo all'origine, come 
credono tutti ingenuamente e come lasciano credere i produttori furbi. Che siano prodotti per sintesi chimica o da estratti di aghi di pino, acerola o erba dei prati, non fa differenza, visto che la formula è la medesima per una sostanza pura: gli integratori sono sostanze artificialmente isolate e separate dalle migliaia di altre presenti nel medesimo frutto o ortaggio, e perciò non più inserite nei complessi sinergismi naturali che tengono in equilibrio e bilanciano tra loro le 
migliaia di molecole chimiche, com’è tipico della Natura vegetale. E quindi sono tutto fuorché “naturali”: anzi, sono il massimo dell’artificio innaturale.

Il dr. Andrew Weil, anziano fondatore dell’Arizona Center for Integrative Medicine, è stato uno dei rari botanici a diventare medico, ad Harvard, e ha sintetizzato in un chiaro e icastico articolo per Huffington Post per quali motivi si ricorre così massicciamente agli integratori, sia i medici per gli esperimenti, sia i pazienti: 
1. la facilità d’impiego data dalla sicurezza della standardizzazione, 
2. la possibilità di larghi profitti per l’industria farmaceutica con i marchi registrati presso l’Ufficio Brevetti. 
Così, quando una pianta mostra effetti benefici verso l’uomo, i medici e i biologi sperimentali preferiscono usare una sostanza isolata estratta dalla pianta, che loro chiamano quasi abusivamente “principio attivo”, anziché le pianta intera. 
“Dopodiché – denuncia – noi  [medici] dimentichiamo tutto il resto della pianta, comprese le altre sue sostanze e le complesse interazioni tra di loro”. Ma, se è per la standardizzazione – precisa Weil – la tecnologia moderna permette di coltivare e di trattare le piante naturali, cioè intere, in modo da produrre “complessi standardizzati”. Ma la pianta al naturale offre molte meno possibilità di profitto ai ricercatori. Questo il primo vero, grande motivo del successo degli integratori.
Fatto sta che le sostanze isolate, sia pure estratte “naturalmente” da piante che pure hanno dimostrato di essere benefiche per l’uomo, possono risultare inefficaci o pericolose, anche perché possono turbare, proprio perché isolate, un delicato equilibrio bio-chimico del nostro organismo che invece la pianta intera non turbava
E infatti si sa da almeno 20 anni che con gli integratori aumentano i rischi. Lo ha provato e straprovato la scienza, e ora anche una nuova meta-analisi che riesamina ex-novo 67 studi scientifici già noti, tutti controllati cioè correttamente condotti, con migliaia di soggetti, per provare che con gli integratori vitaminici – e lo stesso, se non peggio, è con altri integratori – i rischi di malattia e di decesso aumentano, non diminuiscono.
Non è naturale isolare una sostanza tra le 500 o 5000 presenti in un alimento, facendo a meno dei complessi sinergismi tra sostanze naturali (in molti casi ancora da scoprire) che bilanciano, potenziano, neutralizzano, modulano le azioni farmacologiche delle varie sostanze presenti nel vegetale, e propinarla da sola, cioè "pura", a noi stessi o ai pazienti. Che poi è quello che si fa coi farmaci, anche queste sostanze isolate, pure. Invece, è naturale l’alimentazione nel suo complesso, è naturale un solo alimento purché intero, completo, cioè integrale (al limite una parte di esso, p.es. il germe di grano), sono naturali l’acqua, la luce, il sole, le terre, le piante officinali (anche queste, solo se intere, fresche o ben conservate, o estratti o tinture ottenuti dall’intera pianta). 
Quelle compresse, polveri, gelée, pillole, capsule, quegli opercoli, estratti, granuli, non solo probabilmente non servono a niente, ma possono aumentare i rischi.
Primo perché non si tratta di alimentazione, ma di una vera e propria cura farmacologica, con tutti i rischi tossicologici di una nuova sostanza che viene a turbare – e non si sa neanche come e quanto – l’equilibrio chimico e metabolico del nostro corpo (Michele Carrubba, docente di farmacologia). E poi perché il ricorso alla presunta "àncora di salvezza" della compressa consente ai tantissimi che si alimentano male e conducono vita sedentaria (che già di per sé è ad alto rischio) di continuare a farlo con l’errata convinzione di "aver fatto tutto il possibile", di "curarsi", di "essere finalmente a posto" (Andrea Ghiselli, nutrizionista INRAN).


Fonte: alimentazione-naturale.blogspot.com

martedì 26 maggio 2015

Il bianco in cucina: spesso equivale a veleno


Bianco in cucina è molto spesso sinonimo di veleno.
Il colore è già un indicatore.
Nella tradizione cinese il bianco è il colore del lutto, della morte e dei fantasmi. Nella nostra società è il colore della verginità, del vestito del matrimonio..ma non è tutto oro quel che luccica.
Il bianco è il colore freddo per eccellenza, che riflette e non assorbe.
Viceversa nello spettro luminoso che si spinge verso il nero i colori diventano energia, forza vitale vera e propria. Questi colori assorbono i raggi solari, al contrario del bianco.
E' ormai risaputo che il ruolo fondamentale per la nostra sana esistenza è il cibo. Il cibo è la nostra fonte di vita. Il cibo "colorato" è vita. 
Il cibo bianco a volte è morto (raffinato), altre non adatto all'alimentazione umana (indigesto). 
Si pensi alla frutta o alla verdura. Avete mai visto un frutto bianco?
Ecco un elenco dei principali veleni bianchi che generalmente non mancano mai dalle nostre tavole.


Il sale

Il sale trova posto nei condimenti, ma è anche usato in abbondanza in diversi alimenti snack, patatine, fritti, salumi e formaggi stagionati.
Il sale viene ripulito chimicamente e ridotto a cloruro di sodio. Da allora i minerali e gli oligoelementi essenziali vengono semplicemente considerati delle "impurità" e come tali vengono eliminati. Purtroppo il cloruro di sodio, così isolato e innaturale, non ha più niente a che vedere con la natura, con l'integralità o con il sale genuino. 
Assumendo più sale del dovuto il corpo deve compensare trattenendo i liquidi per mantenere il sale in soluzione e questo comporta gonfiori, sensazione di pesantezza e la famosa ritenzione idrica causa di tanti inestetismi. 
Altri effetti sono pressione alta, cattiva digestione, insonnia, tic nervosi, stanchezza cronica, perdita di calcio nelle ossa.


Lo zucchero raffinato

Nessun adulto ha bisogno di assumere zucchero extra per la propria alimentazione; basterebbe abituarsi ad assumere alimenti ricchi di carboidrati complessi come la frutta, verdura e cereali integrali che contengono grandi quantità di vitamine e minerali che vengono rilasciati e messi a disposizione per l’organismo.
I carboidrati complessi sono alimenti ricchissimi di energia e di sostanze nutritive per il nostro corpo mentre i carboidrati semplici, derivati dai prodotti dello zucchero, non richiedono tempi di digestione ed entrano subito in circolazione.
Lo zucchero raffinato è assai dannoso quando viene ingerito dagli esseri umani perché fornisce soltanto quelle che gli esperti di nutrizione chiamano come calorie vuote o nude; esso manca dei minerali naturali presenti nella barbabietola e nella canna. Per di più lo zucchero è peggiore di qualsiasi altra cosa in quanto tende a prosciugare e dissolvere dal corpo preziose vitamine e minerali. 
Lo zucchero assunto quotidianamente produce una condizione di continua iperacidità e, nel 
tentativo di rettificare lo squilibrio, vengono richiesti dal profondo dell'organismo sempre più minerali. Infine, onde salvaguardare il sangue, dalle ossa e dai denti viene preso tanto calcio da dare inizio ad un decadimento ed indebolimento generale.
Ulteriori effetti visibile nell’arco della giornata di chi assume elevati zuccheri sono senso di affaticamento, ridotta capacità di concentrazione, poca lucidità mentale, stanchezza cronica, picchi e cali repentini di energia durante la giornata.


La farina bianca

Quando mangiamo pane, panini, pasta, impasti di ogni tipo, grissini e brioche all’interno del nostro organismo si forma una massa glutinosa che si muove lentamente attraverso il sistema digerente causando sonnolenza e costipazione. Basta assumere prodotti integrali che, non solo saziano l’ appetito, ma contengono grandi quantità vitamine, minerali e proteine nobili recandoti un senso di soddisfazione ed appagamento senza quella fastidiosa pesantezza dopo  pasto.
Con l'eliminazione delle bucce e dei germi dai chicchi di grano ne guadagna il valore culinario e gastronomico del pane, ma si perde sicuramente quello biologico, tant'e' vero che la farina bianca, assieme al sale e allo zucchero raffinati, figura nel gruppo dei "veleni bianchi" della moderna alimentazione.
L’eccessiva macinazione della farina bianca per ottenere una consistenza fine che  elimina la maggior parte dei principi nutrienti  rendendo il cibo praticamente morto.
Nè è la prova la nascita e la proliferazione di una malattia "nuova": la celiachia, vale a dire la mancanza di digestione e assimilazione del glutine da parte del nostro organismo.


Il latte (e i suoi derivati: formaggi, burro e panna)

Siamo l'unica specie vivente al mondo che si nutre del latte di un’altra specie anche da adulti.
Intorno ai due anni circa, si ha una progressiva riduzione dell’attività del lattasi, che è l’enzima adibito all’assimilazione del latte, fino ad arrivare all’età adulta in cui la sua azione è praticamente inesistente (riduzione di circa il 90-95%). 
Il tutto porta ad una intolleranza più o meno grave che può sfociare con diversi effetti collaterali quali gonfiori, irritazione del tratto intestinale, coliche, allergie, e molto altro. 
Inoltre l'abuso di latte è una delle principali cause dell'osteoporosi.
Di conseguenza anche i suoi sottoprodotti, quali ricotta, formaggi stagionati, burro e panna non sono adatti all'alimentazione umana.


Margarina e panna vegetale

La margarina è un insieme di grassi vegetali e/o animali, assemblati in laboratorio, secondo processi detti di idrogenazione, frazionamento o interesterificazione.
I grassi ottenuti, nel caso dell'idrogenzione detti trans, non sono assimilabili dall'organismo umano e in grandi quantità il loro accumulo puà provacare seri problemi di salute.
Per la panna vegetale il discorso è simile a quello della margarina.
E' fortemente sconsigliato l'uso in cucina della margarina, di qualsiasi tipo essa sia e della panna vegetale.


Bicarbonato e altre polveri bianche

Il bicarbonato è un prodotto creato dall'uomo in laboratorio. 
Il bicarbonato è ottimo per l'igiene personale (è un buon shampo!), come detergente e come smacchiatore (in lavatrice e per i pavimenti è conigliato!).
Non essendo un composto naturale è sconsigliato per l'alimentazione.


Riso raffinato

Certamente è il meno dannoso in questa classifica. 
E' comunque un prodotto privato di importanti elementi, e per questo non propriamente naturale e completamente assimilabile.
Spesso per questioni di tempo di cottura è preferito al riso integrale; il secondo senza dubbio è preferibile, nonchè l'elemento principe della cucina orientale.


Le eccezioni

Le eccezioni alla regola sono le bulbifere (aglio e cipolla) e i "latti" vegetali (riso, mandorla,
avena,...). 
Circa i secondi è comunque preferibile consumare i prodotti nella loro natura integrale.

mercoledì 20 maggio 2015

I veleni vegatali da laboratorio (II° parte): i grassi vegetali non idrogenati


Non esiste solo l'idrogenazione per rendere solido un grasso che in natura si presenta liquido. 
Il frazionamento è un processo fisico mediante il quale si separa un olio vegetale in diverse frazioni caratterizzate da un diverso grado di solubilità. Si riesce in questo modo a ricavare una parte solida, ricca di acidi grassi saturi, ed una liquida ricca di lipidi monoinsaturi e polinsaturi. La frazione solida è particolarmente resistente all'ossidazione e viene utilizzata per produrre margarina e grassi vegetali in genere.
L'interesterificazione è un processo chimico che modifica la struttura chimica dei trigliceridi ridistribuendo gli acidi grassi che li compongono (trasposizione degli acidi grassi). Il principio base consiste nella possibilità di staccare un acido grasso saturo da un trigliceride e di inserirlo in un altro in sostituzione di un acido grasso; in questo modo si possono alterare le caratteristiche fisiche di un olio - aumentando ad esempio, la temperatura di fusione, quindi ottenendo una consistenza semisolida a temperatura ambiente. Quest'ultima caratteristica, infatti, non dipende solo dalla composizione in acidi grassi di un trigliceride ma anche dalla loro distribuzione all'interno del trigliceride stesso. Ad ogni modo, per ottenere una consistenza semisolida è comunque necessario aumentare la percentuale di grassi saturi.

Dall'esame di questi due sistemi di produzione capiamo come i prodotti contenenti grassi vegetali non idrogenati, siano leggermente migliori di quelli che fanno uso dei tradizionali grassi vegetali.
Si tratta comunque di prodotti manipolati artificialmente, non naturali e magari ricavati da oli di qualità scadente o già rancidi. Inoltre, questi alimenti presentano comunque un elevato contenuto di acidi grassi saturi, proprio perché semisolidi a temperatura ambiente.
Possiamo quindi paragonare gli acidi grassi non idrogenati alla benzina verde e al rispettivo catalizzatore; entrambe le sostanze sono sicuramente meno pericolose che in passato, ma sono ancora distanti dall'essere considerate innocue o benefiche.
La dicitura grassi "parzialmente idrogenati" sembrerebbe più amichevole del classico termine "grassi idrogenati", ma in realtà le due espressioni si equivalgono. Attenzione quindi a non farsi trarre in inganno da pubblicità fasulle.

Anche la dicitura "senza colesterolo" è certamente fuorviante per il consumatore medio. Si tratta semplicemente di prodotti preparati utilizzando esclusivamente oli o grassi di origine vegetale. Questa espressione non ci da quindi nessuna garanzia ne sulla presenza di acidi grassi idrogenati ne sulla qualità degli oli impiegati per la loro produzione. Paradossalmente potrebbe addirittura trattarsi di un alimento più nocivo dei tradizionali, dove i grassi di origine animale sono stati sostituiti con grassi vegetali idrogenati, privi di colesterolo ma ben più pericolosi dei precedenti.

sabato 16 maggio 2015

I veleni vegatali da laboratorio (I° parte): grassi trans e grassi vegetali idrogenati


Il grasso vegetale trans ha caratteristiche fisiche simili ai grassi saturi e quindi han un punto di fusione più elevato rispetto ai grassi "cis" con pari grado di insaturazione. Infatti a causa della disposizione "trans", le molecole sono lineari e possono "impacchettarsi" efficientemente tra loro. La forma "cis", invece presenta un angolo (gli atomi di H sullo stesso lato provocano una distorsione della molecola) e le molecole non interagiscono tra loro altrettanto bene.
In natura, la stragrande maggioranza degli acidi grassi sono nella forma cis, gli isomeri trans sono presenti in piccola percentuale soprattutto nei latticini e nelle carni grasse, nella misura del 5 - 8% rispetto al quantitativo totale di grassi.


L'industria dei grassi vegetali raffinati

Alcuni processi industriali possono aumentare notevolmente la quantità di questi grassi negli alimenti. 
Vediamo quali sono i più importanti:
Il processo di idrogenazione dei grassi polinsaturi
Gli acidi grassi polinsaturi, contenuti negli oli di origine vegetale, sono particolarmente instabili, e quindi vanno incontro rapidamente ad ossidazione e irrancidimento. Il processo di idrogenazione, messo a punto all'inizio del XX secolo, consente di aggiungere atomi di idrogeno alla molecola di grasso, saturandolo parzialmente o totalmente. L'olio viene riscaldato a una temperatura variabile da 120 a 210 gradi (di solito 170-180 gradi) in presenza di un catalizzatore (il nichel è il più usato, ma anche il rame e il platino) e di idrogeno. Dopo che la reazione è avvenuta, avviene una deodorazione, in modo identico al processo di raffinazione. 
L'acido grasso diventa "meno insaturo", e quindi meno soggetto a irrancidimento, cosa molto gradita alle industrie alimentari che possono allungare di molto la vita dei prodotti. Grazie al punto di fusione più elevato la margarina si presenta solida a temperatura ambiente. Il processo di idrogenazione produce i "grassi (o oli) vegetali parzialmente idrogenati", che sono presenti in grandi quantità nella margarina, ma anche nei prodotti da forno confezionati, nelle basi per dolci, negli oli per friggere, nelle patatine fritte, negli snack, in molti di prodotti del Mc Donald's, ecc.
Provate a prendere un panetto di margarina e appoggiatelo sul tavolo della cucina: rimarrà inalterato per giorni, senza essere attaccato da microorganismi, grazie ai grassi parzialmente idrogenati!
I grassi così ottenuti, a causa dell'elevata temperatura che si raggiunge durante il trattamento, sono di tipo trans, nella misura del 25% - 45% rispetto al quantitativo totale di grassi.
- Il processo di raffinazione degli oli vegetali
Il processo di raffinazione è utilizzato per ottenere tutti gli oli di semi non spremuti a freddo (e quindi la stragrande maggioranza degli oli di semi), e l'olio d'oliva non vergine (il comune olio di oliva).
L'olio viene estratto con l'utilizzo di soventi chimici, che vengono poi eliminati per distillazione.
Esso viene successivamente reso commestibile con l'utilizzo di sostanze alcaline che ne abbassano l'acidità, riportandola a valori accettabili.
Questo processo produce una piccola quantità di acidi grassi insaturi di tipo trans, nella misura del 5% rispetto al quantitativo totale di grassi (quindi in una bottiglia di olio di semi da un litro ci sono circa 5 grammi di grassi trans).

Effetti sulla salute dei grassi trans

Come dovrebbe essere noto a tutti i grassi che assumiamo hanno un effetto positivo o negativo sul livello di colesterolo nel sangue, a seconda che essi siano saturi o insaturi. Ci si può chiedere quale sia l'effetto degli acidi grassi trans.
Gli studi scientifici riguardo gli effetti di questi grassi sui fattori di rischio delle malattie cardiovascolari sono iniziati negli anni '60, e tutt'ora non sono stati raggiunti risultati definitivi.
I risultati ottenuti dagli studi epidemiologici effettuati su un grande numero di persone appartenenti a diverse popolazioni, dal 1960 ad oggi, sono riassunti nei seguenti punti.
L'assunzione di un'elevata quantità di acidi grassi trans fa diminuire il rapporto tra colesterolo buono (HDL) e quello cattivo (LDL) in modo maggiore rispetto a qualsiasi altro tipo di grasso. In pratica si abbassa quello buono e aumenta quello cattivo, mentre i grassi saturi fanno aumentare anche la quota del colesterolo buono.
L'assunzione di moderate quantità di acidi grassi trans, soprattutto se assunti in associazione a grassi polinsaturi naturali (di tipo cis), aumenta il rischio di contrarre malattie cardiovascolari in maniera minore rispetto ai grassi saturi.
C'è una notevole differenza nelle quantità di acidi grassi trans assunte da popolazioni diverse. Fortunatamente, le popolazioni dei paesi del bacino del mediterraneo (tra cui l'Italia) presentano livelli di assunzione piuttosto bassi.


Come comportarsi con i grassi idrogenati

Gli studi effettuati fin'ora dimostrano inequivocabilmente che gli acidi grassi di tipo trans sono da considerarsi più dannosi di quelli saturi, poichè alzano il livello del colesterolo LDL e non quello HDL, aumentando il rischio cardiovascolare.
Ma le malattie cardiovascolari non sono l'unico fattore da considerare.
Infatti questo tipo di grassi non sono riconosciuti dal nostro organismo, che cerca di utilizzarli per proteggere le membrane cellulari come se fossero "cis".
In realtà la protezione fallisce e la cellula si trova con minor difese. Inoltre, la membrana cellulare non funziona correttamente nella gestione dei micronutrienti attraverso ad essa.
Inoltre il processo di idrogenazione utilizza il nichel (un prodotto potenzialmente nocivo) come catalizzatore, che in teoria dovrebbe essere rimosso ma non è escluso che ne rimanga una certa quantità.
Concludendo, possiamo dire che è opportuno eliminare dalla propria alimentazione i grassi idrogenati.
Per farlo, basta eliminare i prodotti contenenti margarina e grassi e oli (parzialmente) idrogenati: da tenere sotto controllo biscotti, dolci, merendine, gelati, prodotti di pasticceria, prodotti surgelati e liofilizzati.


Fonte: Trans Fatty Acid in Human Nutrition, J. L. Sébédio e W. W. Christie

mercoledì 6 maggio 2015

L'essenza del denaro e l'essenza della prostituzione: tutto torna


I legami tra lavoro e prostituzione sono strettissimi
"Nell'essenza del denaro" scrive Simmel "si percepisce qualche cose dell'essenza della prostituzione. L'indifferenza con cui si presta ad ogni utilizzazione, l'infedeltà con cui si separa da ogni oggetto, perché non era veramente legato a nessuno, l'oggettività, che esclude qualsiasi rapporto affettivo e lo rende adatto a essere un puro mezzo, tutto ciò determina un'analogia fatale tra denaro e prostituzione".
Si aggiunga che la transazione in denaro ha anche quel carattere di rapporto del tutto momentaneo che è tipico della prostituzione. Una volta che ho pagato e ottenuto la merce che mi interessa io non ho più alcun obbligo di relazione con chi me l'ha venduta. Il denaro tronca nel modo più netto e radicale ogni ulteriore conseguenza del rapporto, mentre nel caso che una prestazione venga renumerata con un oggetto specifico questo conserva, per la sua scelta, per il suo contenuto, per l'uso che ne è stato fatto, per la sua storia (che il denaro non ha e non può avere) qualcosa della personalità di chi paga. 
La prestazione in natura, il baratto, crea sempre un rapporto più personale, più cordiale, più caldo e umano fra chi esercita un diritto e chi adempie un obbligo. Nel pollame, nel grano, nel vino che, nell'economia feudale, il contadino consegna al signore c'è ancora qualcosa, emotivamente e affettivamente, del contadino stesso che l'altro, ricevendola senza la mediazione e la frapposizione del denaro, percepisce e in qualche misura ricambia. E' noto che nel Medioevo europeo quando il contadino osservava le corvées o pagava i tributi era consuetudine rendergli qualche cortesia, fornirgli cibo e bevande, invitarlo alla mensa del signore. Piccole gentilezze, piccole cose che danno però il senso della diversa natura del rapporto e che sono comunque impensabili in un'economia dove il denaro misura con esattezza matematica la quantità e anche la qualità delle reciproche prestazioni.
La capacità di prostituire tutto, di oggettivare tutto, di rendere merce anche la persona, o parti di essa, deriva al denaro dal fatto che, in quanto entità priva di specificità e di qualità che non sia la quantità, eguaglia, appiattisce, omologa, rende, indifferenziate tutte le cose. Una misura d'olio e un braccio di cotone, esemplifica Marx, considerate come cotone e come olio "sono naturalmente diverse, sono incommensurabili", ma in quanto valori, cioè denaro, tutte le merci sono qualitativamente uguali, le loro specificità naturali vengono cancellate. 
Il denaro ha la capacità di ridurre i valori più alti e quelli più bassi a una sola forma di valore, la sua
E' perché il denaro rende omologhi e indifferenziati beni incommensurabili fra loro che poi diventa pensabile e possibile acquistare l'inacquistabile. 
Se oggi si fa commercio di organi di bambini brasiliani, narcotizzati ed espiantati, per venderli ai ricchi americani non è solo perché la tecnica medica moderna lo consente, ma anche perché la forma-denaro lo agevola, praticamente e concettualmente.
Nel momento in cui il denaro oggettivizza i rapporti ci libera però - così si dice - di quei vincoli personali che sono propri di un'economia non monetaria. Si potrebbe obbiettare che oggi, per la soddisfazione di nostri bisogni, noi dipendiamo da un numero di persone molto maggiore che in passato. In fondo l'uomo preindustriale, tendenzialmente autosufficiente, era legato, in modo molto stretto, questo sì, ad una cerchia limitata di persone. Quello attuale, a causa della esasperata specializzazione e divisione del lavoro (che determina la necessità del denaro e che a sua volta il denaro favorisce), dipende da una gran quantità di soggetti: produttori, fornitori, venditori, intermediari, dei quali non può fare assolutamente a meno. Lasciato solo morirebbe.
E' vero però che per quanto indispensabili non sono legami personali e determinati. Se non mi piace un fornitore ne scelgo un altro e una volta che l'ho pagato la cosa finisce lì. Il denaro libera nell'atto di darlo e riceverlo.


Fonte: Il denaro "Sterco del demonio"Massimo Fini

lunedì 20 aprile 2015

La scuola, il pilastro di una società malata (II° parte): l'istruzione obbligatoria, una scelta "democraticamente" non discutibile


Le scuole (e le autostrade) danno a prima vista l'impressione di essere egualmente aperte a tutti
Di fatto lo sono soltanto a chi rinnova continuamente le proprie credenziali. E come le autostrade fanno credere che l'attuale livello dei loro costi annui sia indispensabile per la mobilità della gente, così le scuole sono ritenute essenziali per l'acquisizione della competenza richiesta da una società che fa uso della tecnologia moderna. 
Abbiamo denunciato la natura di falso servizio pubblico delle reti autostradali sottolineando la loro dipendenza dall'automobile privata. Ora, le scuole sono basate sul presupposto altrettanto falso che l'apprendimento sia il risultato di un insegnamento programmatico
Le autostrade nascono da una perversione del desiderio e del bisogno di muoversi, trasformati in richiesta di macchine private. Nello stesso modo le scuole pervertono l'inclinazione naturale a crescere e a imparare, trasformandola in richiesta di istruzione. 
Questa richiesta di una maturità fabbricata in serie costituisce una rinuncia all'attività autonoma assai più grave che non la richiesta di prodotti fabbricati in serie. Le scuole non sono soltanto a destra delle autostrade e delle automobili, ma si collocano vicino al punto estremo dello spettro istituzionale occupato dalle istituzioni totali. 
Persino i produttori di conteggi dei cadaveri si limitano a uccidere dei corpi, mentre la scuola, facendo abdicare gli uomini alla responsabilità del proprio sviluppo, ne conduce molti a una sorta di suicidio spirituale. 
Le autostrade vengono pagate in parte da coloro che se ne servono, dato che i pedaggi e le imposte sulla benzina escono dalle tasche dei soli automobilisti. La scuola invece è un esempio perfetto di tassazione regressiva, con i laureati privilegiati che cavalcano in groppa all'intero pubblico pagante. La scuola mette una taglia sulla promozione
Il sottoconsumo in chilometri d'autostrada non è all'incirca tanto costoso quanto il sottoconsumo in anni di scuola. 
A Los Angeles chi non possieda una macchina può essere quasi ridotto all'immobilità, ma se riesce in qualche modo a raggiungere un luogo di lavoro può trovare e conservare un impiego. Per chi ha abbandonato la scuola non esistono invece alternative
L’abitante dei quartieri residenziali suburbani con la Lincoln nuova fiammante, e il suo cugino campagnolo che guida un vecchio catenaccio ammaccato, sfruttano sostanzialmente l'autostrada nella stessa misura, anche se l'automobile del primo costa trenta volte più dell'altra, mentre invece il valore dell'esperienza scolastica di un uomo è determinato dal numero di anni portati a termine e dal costo delle scuole frequentate. 
La legge non costringe nessuno a guidare, mentre obbliga tutti ad andare a scuola

L'analisi delle istituzioni secondo la loro attuale collocazione su un arco da sinistra a destra mi permette di precisare la mia convinzione che un cambiamento radicale della società debba partire da un atteggiamento diverso nei confronti delle istituzioni e di spiegare perché le dimensioni di un futuro nel quale valga la pena vivere dipendano dal ringiovanimento del modo di operare delle istituzioni stesse. 
Durante lo scorso decennio, istituzioni nate in periodi diversi dopo la rivoluzione francese hanno raggiunto simultaneamente la vecchiaia: i sistemi scolastici pubblici istituiti ai tempi di Jefferson o di Ataturk come quelli sorti dopo la seconda guerra mondiale sono diventati egualmente burocratici, fini a se stessi e manipolatori
Lo stesso è accaduto ai sistemi di assistenza sociale ai sindacati, alle principali chiese, ai servizi diplomatici e alla sistemazione dei vecchi e dei defunti. 
Oggi, per esempio, i sistemi scolastici della Colombia, dell'lnghilterra, dell'URSS e degli Stati Uniti si assomigliano più di quanto le scuole americane del 1890 assomigliassero a quelle di oggi o a quelle che c'erano allora in Russia. Oggi infatti tutte le scuole sono obbligatorie, illimitate nel tempo, competitive
La stessa convergenza nel modo d'operare dell'istituzione si verifica anche nell'assistenza 
sanitaria, nei commerci, nell'amministrazione del personale e nella vita politica. Tutti questi 
processi istituzionali tendono ad ammucchiarsi all'estremità manipolatrice del nostro spettro. 
Da questa convergenza delle istituzioni deriva un amalgamarsi delle varie burocrazie mondiali. 
Il funzionamento, i sistemi di valutazione e gli stessi accessori (dai libri di testo ai computer) sono modellati sugli esempi dell'Europa occidentale anche dalle commissioni per la programmazione dell'Afghanistan o di Costarica. Dappertutto queste burocrazie sembrano concentrarsi su un unico compito: promuovere l'espansione delle istituzioni di destra. 
Si preoccupano cioè di fabbricare oggetti, di fabbricare regole rituali, e di fabbricare - e aggiornare - “verità ufficiali”, l'ideologia o l'autorità che stabilisce il valore corrente da attribuire alloro prodotto. La tecnologia fornisce a queste burocrazie un crescente potere sul settore destro della società. 
Il settore di sinistra sembra atrofizzarsi, non perché la tecnologia sia meno capace di accrescere la portata dell'azione umana o di lasciare spazio al gioco dell'immaginazione individuale e della creatività personale, ma perché un'utilizzazione della tecnologia in questo senso non aumenterebbe il potere dell'elite che l'amministra. Il ricevitore postale non ha alcun controllo sull'utilizzazione pratica della posta, il centralinista o il funzionario della società dei telefoni non ha il potere di impedire che, mediante la loro rete, si progettino adulteri, omicidi o atti di sovversione. 
Nella scelta tra destra e sinistra istituzionale quella che è in gioco è la natura stessa della vita umana. 
L’uomo deve decidere se vuoI essere ricco di cose o di libertà di servirsene. Deve scegliere tra due opposti modi di vivere e tra le relative tabelle di produzione. 
Già Aristotele aveva scoperto che “fabbricare e agire” sono due cose diverse, al punto che l'una non comprende mai l'altra. “Infatti ne agire è un modo di fabbricare, ne fabbricare è un modo di agire veramente. L’architettura (techne) è un modo di fabbricare... di dar vita a qualcosa la cui origine è in chi la fabbrica e non nella cosa. La fabbricazione ha sempre un fine altro da se l'azione no: una buona azione infatti ha come fine se stessa. La perfezione nel fabbricare è un'arte, quella nell'agire una virtù.”. 
La parola che Aristotele adopera per definire la fabbricazione è poesis, quella per definire l'azione è praxis. Uno spostamento a destra significa che un'istituzione è in via di ristrutturazione per aumentare la sua capacità di “fabbricare”, mentre quando essa si sposta a sinistra significa che la ristrutturazione ha come fine l’incremento della “azione” o praxis. 
La tecnologia moderna ha accresciuto le possibilità dell'uomo di cedere la “fabbricazione”  delle cose alle macchine, e il suo tempo potenzialmente disponibile per l'“azione” è aumentato. 
La “fabbricazione” dei generi di prima necessità non occupa più tutte le sue ore. Il risultato di questa modernizzazione è la disoccupazione: è l'ozio dell'uomo che non ha niente da “fabbricare” e che non sa cosa “fare”, cioè come “agire”. La disoccupazione è l'ozio triste di chi crede, contrariamente ad Aristotele, che fabbricare cose o lavorare sia virtù e l'ozio sia un male. La disoccupazione è l'esperienza dell'uomo che si è arreso all'etica protestante. 
Secondo Weber, il tempo libero è necessario all'uomo per poter lavorare. Secondo Aristotele, il lavoro è necessario all'uomo per poter avere del tempo libero. La tecnologia mette a disposizione dell'uomo un tempo che egli può riempire, a sua discrezione, fabbricando o agendo. All’intera cultura si offre oggi di scegliere tra la tristezza della disoccupazione e la gioia del tempo libero. 
La scelta dipende da come la cultura fa funzionare le proprie istituzioni. È una scelta che sarebbe stata impensabile in una cultura antica basata sull'agricoltura contadina o sulla schiavitù, ma che è diventata inevitabile per l'uomo postindustriale. Uno dei modi per riempire il tempo disponibile consiste nello stimolare una maggiore richiesta di consumo di merci e, insieme, di produzione di servizi. 
La prima comporta un'economia che fornisca un campionario sempre crescente di prodotti sempre più nuovi, da fabbricare, consumare, sprecare e rimettere in ciclo. La seconda comporta il vano tentativo di “fabbricare” azioni virtuose tramutandole nei prodotti di istituzioni-”servizi”. 
Ciò porta a identificare la scuola con l'educazione, l'assistenza medica con la salute, la partecipazione a uno spettacolo con lo svago, la velocità con una locomozione efficiente
Questa prima scelta viene oggi chiamata sviluppo. Il secondo modo, radicalmente opposto, di riempire il tempo divenuto libero consiste nella disponibilità di una limitata gamma di beni più durevoli e nell'accesso a istituzioni che permettano di aumentare le possibilità e la desiderabilità dell'interazione umana. Un'economia fondata su beni durevoli è il contrario esatto di quella fondata sull'obsolescenza pianificato. Comporta infatti una limitazione all'elenco del beni. Questi dovrebbero essere tali da assicurare il massimo delle possibilità di “fare” qualcosa servendosi di essi: articoli cioè che ognuno dovrebbe poter montare, adoperare, riutilizzare e riparare per proprio conto. A questa lista di beni durevoli, riparabili e riutilizzabili dovrà accompagnarsi non un aumento dei servizi prodotti dalle istituzioni, ma una cornice istituzionale che educhi costantemente all'azione, alla partecipazione e all'autonomia. 
Il cammino della nostra società dal presente - dove tutte le istituzioni gravitano verso una burocrazia postindustriale - al futuro della convivialità postindustriale - dove l'intensità dell'azione prevarrebbe sulla produzione - deve partire da un rinnovamento del modo d'operare delle istituzioni-servizi, e anzitutto da un rinnovamento del sistema educativo, Un avvenire desiderabile e attuabile dipende insomma dalla nostra volontà di destinare le nostre capacità tecnologiche allo sviluppo delle istituzioni conviviali. 
Nel campo della ricerca pedagogica, ciò equivale alla richiesta di un capovolgimento delle tendenze attuali.


Fonte: Descolarizzare la società, Ivan Illich