giovedì 31 luglio 2014

La globalizzazione alimentare e la McDonilzazzione: la fine dell'alimentazione salutare alla caccia di un sogno comune


Lo sviluppo industriale e la meccanizzazione della vita hanno coinvolto tutti i settori della nostra esistenza, da qualche secolo a questa parte. E non hanno potuto risparmiare l'alimentazione, ormai relegata a un dovere, a una pizza o a un panino take-away.
Già, perché l’industrializzazione della cucina, lo scatolame, l’ineducazione al cibo sano e alla dieta salutare minaccia proprio uno dei cardini della nostra vita, fonte delle nostre energie vitali e di molto altro (siamo quello che mangiamo). 
Addirittura i nostri figli ignorano e non potranno mai gustare i piatti prestigiosi della nostra infanzia… Ma si ciberanno del cibo spazzatura, per di più sempre uguale, che sia pranzo o cena, indipendentemente della geografia e dalle tradizioni.
La globalizzazione alimentare negli ultimi vent'anni ha tentato di diffondersi a livello planetario. Quello che sicuramente non poteva prevedere è il fenomeno che dalla fine degli anni 80 ha preso il nome di McDonilzazzione, cioè la diffusione di una prassi alimentare che dagli Stati Uniti si è estesa in modo capillare in tutti e cinque i continenti imponendosi quale modello di alimentazione moderna a bassi costi. 
I punti MC, famosi per essere luoghi di ritrovo per adolescenti e famiglie, apparentemente sembrerebbero favorire l’aggregazione e, per i costi molto bassi, una cucina democratica.
Il cibo di McDonald’s, tuttavia, a differenza delle mense popolari di fine ottocento ed inizi novecento, promette e si fa interprete di un’omologazione che vede le persone non più protagoniste di una lotta di classe e di un riscatto sociale ma, al contrario, assoggettate ad un progetto di marketing pubblicitario e quindi non più protagoniste di un evento sociale ma funzionali alla diffusione di una alimentazione industriale che di popolare mantiene soltanto i prezzi.
In questa cultura alimentare la differenza ha lasciato spazio alla standardizzazioneDomani si mangerà lo stesso hamburger, dovunque ci si troverà (ristoranti, scuole, strade, vacanze, aziende, ospedali, ricoveri).
Un’espansione che prevede la presenza di questi luoghi di ristorazione in ogni zona del mondo. Il consumatore è sempre da McDonald’s, che si tratti di un Drive In, di Un McTrain, di un McExpress o anche a casa propria, con il suo hamburger consegnato a domicilio.

Ma qual è il popolo che si riunisce nei locali MC Donal’s da Oslo a Johannesburg, da San Francisco a Pechino?
E’ il popolo del pensiero a stelle e strisce ed è il popolo che attraverso i prodotti Mc non acquista soltanto cibo ma una filosofia di vita basata su assunti quali: forza, giovinezza e successo. 
Un’alimentazione di per sé molto semplice arricchita da significati fortemente simbolici, come se, insieme al panino, venissero trasmessi i valori che l’american dream propone. In questo simbolo di modernità, come avviene nel mito di Cuccagna, rispetto alla tradizionale consumazione dei pasti, è consentita ogni  trasgressione: si può mangiare a qualsiasi ora del giorno e della notte, in piedi, con le mani, divertendosi, ascoltando musica. Il tabù delle regole viene violato senza pericolo di sanzioni morali o psichiche. E’ un momentaneo di ritorno allo stadio dell’onnipotenza infantile, onnipotenza che, tuttavia, viene sapientemente contenuta ed incanalata da una sapiente strategia pubblicitaria.
L’idea di un cibo vario e sempre diverso è sostituito dal suo opposto e cioè da concetti basati sulla regolamentazione tecnologica, sull’igiene e sulla capacità di eliminare l’imperfezione. L’omologazione dei cibi offre l’illusione di un grande sogno capace di accomunare tutti gli individui senza differenze di età, ceto sociale, etnia.
Un finto egualitarismo legato alla conquista di una fetta di mercato sempre più grande.
Il cibo diventa un fenomeno di management, di marketing. Un’alimentazione così controllata e reificata implica necessariamente dei fruitori reificati; consumatori di merce alimentare costruiti da opportune campagne di vendita. Per le strategie di mercato della casa statunitense il cibo deve essere conforme a rigide caratteristiche di peso, forma e colore.
La fetta di pane è cosparsa dalla famosa salsa Big Mc, poi vengono le cipolle, l’insalata, la fetta di formaggio fuso, la carne grigliata, e si raddoppia il piacere con un’altra fetta di pane, della salsa, delle cipolle, dell’insalata, dei cetriolini, poi arriva la seconda bistecca grigliata e, per finire, la corona di pane.

Panino e patatine Mc si sciolgono in bocca, non richiedono una grossa masticazione: la stessa forma e gli involucri fanno leva su un immaginario femminile che si offre come surrogato materno, soddisfacendo un innato bisogno di protezione.
Il prodotto Mc e, in particolare, l’hamburger costituisce in sé un sostituito del seno, sia per la forma, il colore, la consistenza, sia perché è possibile mangiarlo direttamente con le mani.
McDonald’s fa leva su queste immagini giocando con i loro significati. Questa regressione al corpo libidinale richiede necessariamente di porsi al di sotto del livello della cultura in favore di quello istintivo pulsionale della biologia. Un’altra caratteristica di questo viaggio regressivo è dato dal fatto che in questi luoghi si mangiano le stesse cose a qualsiasi latitudine ed in qualsiasi periodo dell’anno. Il tempo cronologico viene negato ed insieme ad esso anche quello della natura e della società. Come accadeva nell’eterna primavera 
di Cuccagna, si ha l’impressione di vivere in una dimensione atemporale nella quale  l’individuo è appagato nel suo desiderio infantile di tornare alla atemporalità della vita uterina[6].
La fetta di pane è cosparsa dalla famosa salsa BigMc, poi vengono le cipolle, l’insalata, la 
fetta di formaggio fuso, la carne grigliata, e si raddoppia il piacere con un’altra fetta di 
pane, della salsa, delle cipolle, dell’insalata, dei cetriolini, poi arriva la seconda 
bistecca grigliata e, per finire, la corona di pane.
Campagna di comunicazione McDonald’s
Il cibo Mc Donald è neutro in nome dell’ interculturalità e questo suo carattere gli permette 
di essere caricato di valori emozionali, fino a diventare un sostituto generale della felicità. 
Il messaggio è chiaro, mangiare Mc Donald’s permette ad ogni individuo di qualsiasi luogo, 
etnia, cultura, di identificarsi in un sogno comune: quello americano. Una grande famiglia 
senza differenze di sorta.

martedì 29 luglio 2014

Vivere tra le nuvole: la storia della comunità costaricana di Dùrika


Dùrika è una piccola comunità della Costa Rica, nata e sviluppatasi a 1600 metri di altezza, tra i colli della catena montuosa Talamanca.
Dùrika si arrampica su un terreno fortemente scosceso, difficile e lontano da tutto.
La sua fondazione risale al 1991; e da allora, tra fatica, lavoro e molta voglia di provarci, "l'impresa" di altri tempi di vivere in un luogo complicato si è consolidata ed è diventata una forte realtà.
Dùrika è stata interamente costruita a mano, trasportando il materiale a dorso di mulo
per i 18 chilometri che la separano da Buones Aires (va detto, di strada estrema).
La comunità ha come obiettivi l'autosufficienza, la sostenibilità e l'armonia con l'ambiente circostante. Il tutto in 250 ettari di superficie deforestata (destinati alle proprie produzioni), in cambio di un'area di 8500 ettari riforestata e "sotto tutela" del popolo di Dùrika.


Autosufficienza come parola d'ordine

Il fabbisogno idrico è garantito dalle numerose sorgenti presenti nella proprietà. Quello energetico, va detto molto limitato, consiste nei 17 KW generati da una idroturbina di
un rio.
L'alimentazione all'interno di Dùrika è prettamente vegetariana. Fondamentale importante hanno gli orti terrazzati, gli uni vicini agli altri e trattati con profonda devozione. Essi nascono su un terreno arido e pietroso, reso fertile da anni di compostaggio di foglie, deiezioni di capra, corteccia di banano macerata e peperoncino.
L'abbondanza della produzione alimentare ha quasi del miracoloso, date le condizioni ambientali in cui la comunità si trova a lottare. Si trovano alberi da frutto tropicali (che nonostante l'altezza producono, anche se in maniera minore), un bananeto, una piantagione di caffè (il cui uso è comunque sporadico), una collinetta dedicata alla produzione di fagioli (fondamentali per la preparazione del gallo pinto, un piatto misto di riso e fagioli che in Costa Rica si mangia a colazione, pranzo e cena). 
La tecnica di coltivazione dei fagioli è mutata nel tempo, ed ora consiste nel buttare direttamente la semenza sul terreno, senza nessuna lavorazione di quest'ultimo. Così tra tronchi e alberi lasciati a marcire nascono piccole piante di fagioli, la cui raccolta richiede un pò più di tempo e attenzione.
Altra fonte primaria per l'alimentazione sono le 44 capre, che vengono portate al pascolo per 4 ore al giorno, e che forniscono latte, quindi anche formaggi e yogurt. 
Tutto ciò che non viene prodotto viene scambiato con le due comunità indigene vicine, mentre vengono acquistati esternamente solo riso, zucchero e sale.


La medicina naturale a Dùrika

A Dùrika è presente un centro di medicina naturale, completo di clinica dentistica, la quale usa solamente preparati omeopatici ricavati dalle erbe medicinali coltivate in loco e impiegate anche per la produzione di fertilizzanti, nonché per il sapone.
Tutte queste strutture sono state costruite con il legname del luogo e con materiali di recupero. Si tratta insomma di un "sistema chiuso", in cui la produzione di rifiuti è nulla.


La giornata tipo

L'impegno nell'autoproduzione (rivolta a una sorta di autarchia) richiede per tutti gli abitanti di Dùrika passione, impegno e sacrificio. La giornata inizia presto, alle 5.30 del mattino. La colazione è alle 7.30, poi si riprende con i lavori fino alla pausa pranzo, fissata alle ore 12.30 (in concomitanza della doccia e di un pò di riposo). 
Nel pomeriggio le attività lavorative vengono svolte a un ritmo più blando. La cena viene servita alle 17, e alle 18 tutti i residenti si ritrovano per un'ora di meditazione, seguita dalla riunione giornaliera, in cui si decidono i turni di lavoro del giorno successivo, nonché dei vari progetti e delle problematiche.
Alle 19 l'intera comunità si ritira nelle abitazioni.


Dùrika come presente e futuro di realtà alternative

La vita di ogni membro di Dùrika è virtualmente libera dal denaro. Nessuno riceve uno stipendio, poiché tutte le entrate, che vengono principalmente dal turismo, vengono dirottate per la realizzazione degli obiettivi statutari. 
La Founacion Dùrika, infatti, si occupa dell'acquisto e della gestione delle terra, del deforestamento e del riforestamento e della conservazione del patrimonio comune, in co-aiuto con le tribù indigene di Ujarras e Salitre, abitate dagli indios cabècar e bri bri.
Vent'anni fa il territorio su cui si sviluppa la comunità era quasi totalmente deforestato; oggi il bosque primario e secondario troneggiano, grazie all'impegno e alla devozione dei membri. Ennesima dimostrazione che volere e potere; e che la natura, se capita e abbracciata, apprezza e ridona in cambio tutto il necessario per vivere.
La vita a Dùrika non è chiaramente solo rose e fiori. Ci sono problemi, frizioni, delusioni, fatiche e sofferenze. E' una vita lontana da tutto, ma proprio per questo estremamente ricca di significato. E' vita di sacrificio per e con gli altri, è vita nella natura selvaggia, è vita in cui il tutt'uno con la realtà in cui si è immersi insegna a vivere non per come si è abituati oggi, ma nel suo significato più profondo e antico.

martedì 1 luglio 2014

La privatizzazione delle sementi: il caso Graines Baumaux - Kokopelli


La Corte di Giustizia Ue ha dichiarato, nell'estate del 2012, illegale la vendita di semi tradizionali, non iscritti nel catalogo ufficiale europeo.


Il caso Graines Baumaux - Kokopelli

Il caso nasce in risposta a una denuncia che l’azienda francese di sementi Graines Baumaux Sas aveva presentato contro la Kokopelli, Ong transalpina che vende sementi di varietà antiche. Tra di esse il seme Kokopelli 461, una varietà non ammessa dalla direttiva Ue in vigore dal 1998. Prima il ricorso ai tribunali francesi. Vittoria in primo grado per la Graines. 

La Graines Baumaux decide nel 2005 di denunciare Kokopelli per richiedere 50.000 € di risarcimento per concorrenza sleale, oltre alla cessazione delle attività di promozione della vendita di sementi antiche proposte dall'associazione. Il tribunale di Nancy dette nel 2008 ragione alla Graines Baumaux, considerando concorrenza sleale quella di Kokopelli in quanto venivano messe in vendita dall'associazione sementi di varietà non iscritte nel registro europeo e in quello francese.  
Kokopelli decise di impugnare la sentenza sottoponendo alla Corte Europea la questione, in particolar modo sollevando il dubbio che le norme relative alla registrazione delle varietà orticole in un registro europeo vadano a ledere i diritti di del libero esercizio dell’attività economica, di proporzionalità, di parità di trattamento o di non discriminazione e della libera circolazione delle merci.
Nello scorso gennaio l'Avvocato Generale  della Corte Europea decise di dare ragione a Kokopelli, annullando il verdetto del tribunale di Nancy; ma il 12 luglio 2012 la Corte di Giustiza Europea decide di ribaltare ancora una volta la sentenza, negando le ipotesi di Kokopelli e di fatto dissociandosi dalle affermazioni del proprio Avvocato Generale.

Per capire al meglio la sentenza, bisogna sapere che da molti anni oramai è stato reso obbligatoria la registrazione delle sementi di varietà orticole presso un apposito registro europeo. La registrazione costa tempo (l'iter dura molti anni) e denaro (svariate migliaia di euro), e richiede che le varietà registrate soddisfino a precisi criteri di stabilità, distinzione e omogeneità. Esisterebbe però una deroga prevista dalla direttiva 2009/145/CE che lascerebbe maggiori libertà per la vendita ed il commercio di sementi di varietà arcaiche, ma di fatto essa viene disattesa in quanto le condizioni di iscrizione al registro delle varietà arcaiche non differiscono così tanto da quelle del registro normale da permettere di iscrivervi la maggior parte delle vecchie varietà! Inoltre altre deroghe sono invece valide solo all'interno di certi territori ben precisi, da cui originano le varietà considerate in esse, e non valgono perciò in via generale. Per capirci: se dovesse essere riconosciuto come tipico della regione Tizia l'antica varietà di pomodoro caioesempronio, potrebbe esser sì legale scambiare e vendere semi di tale varietà, ma solo nella regione Tizia in questione.

Per la Kokopelli si profila a questo punto una condanna a 100 mila euro per danni e l’obbligo di cessare tutte le attività di vendita.


Le reazioni alle sentenza e le prospettive future del settore 

In Italia, plaude alla decisione l’Assosementi, che riunisce l’industria sementaria. 
Esterrefatti e preoccupati invece quanti sostengono l’utilità di preservare le varietà tradizionali e di non consegnare il mercato delle sementi alle sole multinazionali. 
«La scelta del catalogo delle sementi è senza senso» attacca Pietro Sandali, capo dell’area economica di Coldiretti. «Si vieta agli agricoltori di vendere tra loro le sementi e si infligge un colpo mortale alle varietà tradizionali, condannandole all’estinzione e privando l’umanità di un importante patrimonio di biodiversità. 
In più di fatto si blocca la ricerca sulla genomica che, analizzando le varietà tradizionali, può permettere di scoprire vantaggi per i coltivatori e per i consumatori. È invece necessario un albo delle sementi tradizionali autoctone».
Sulla stessa linea, Slow Food, che vede messi a rischio gli sforzi profusi per la tutela di molti presidi cerealicoli. «Iscrivere le sementi tradizionali nel registro – spiega Cinzia Scaffidi, direttrice del Centro Studi – è complesso sia per motivi legati al costo della registrazione sia perché difficilmente rispettano il requisito della uniformità. Quel registro è, infatti, stato creato per le sementi “pure” selezionate dalle multinazionali». Una norma ad aziendas, verrebbe da dire.
Ironica la reazione della Kokopelli: «Perché non esiste un registro ufficiale dei bulloni e delle viti? Forse perché manca una Monsanto della minuteria metallica?».

Chi ci perde da questa situazione sono le vecchie varietà, selezionate per essere non tanto omogenee e perfette esteticamente, ma buone e gustose, oltre che resistenti in maniera naturale a molte avversità. Le loro caratteristiche rendono spesso difficile che esse rientrino nei criteri di omogeneità e stabilità che sono invece richieste. per quelle tra le vecchie cultivar che potrebbero rientrare nei registri, il problema è un'altro ancora. le vecchie varietà non possono essere brevettate in quanto patrimonio dell'umanità. 
Chi guadagna da questa situazione sono senza dubbio le sette grandi multinazionali del settore sementiero, che detengono la quasi totalità del mercato e che così possono commercializzare senza nessun tipo di rivale le sementi ibride di cui detengono i brevetti. Già, perché al contrario delle vecchie varietà, gli ibridi sono brevettabili e offrono imbattibili garanzie di stabilità ed omogeneità: non a caso il registro prevede non non tanto che le varietà in esso incluse si riproducano dando vita a prole ad essa simile, ma che tutti gli organismi derivati da un medesimo processo siano omogenei e simili: ovverosia, che tutti gli ibridi ad esempio tra due varietà di pomodoro siano uniformi. Si capisce bene come questa norma favorisca solo ed esattamente chi detiene i brevetti di tali incroci.

Ma la cosa più sconcertante è alla fine la motivazione che la Corte di Giustizia Europea da della fondamentale importanza dei registri e del commercio unicamente delle varietà in essi contenuti: impedire la vendita e la coltivazione di sementi potenzialmente nocive o che non consentano una produzione agricola ottimale, caratterizzata dal massimo profitto
Viene gentilmente detto, in pratica, che tutto ciò che sono e rappresentano le antiche varietà orticole può essere nocivo perché non sufficientemente produttivo. Sarebbe stato più onesto aggiungere: produttivo per le lobby sementiere. Già, perché le vecchie varietà open pollinated, ad impollinazione libera, avevano questa caratteristica meravigliosa: davano al contadino la chance di riseminarle, anno dopo anno, senza dover acquistare più le sementi. E così, anno dopo anno, i contadini potevano selezionare piante eccezionali, piene di gusto, profumo, bellezza, storia, vita. Erano le piante della loro vita, e le trasmettevano ai loro figli ed eredi. erano le piante che hanno sfamato l'Europa, sì, persino i genitori ed i nonni di coloro che hanno firmato questo scempio. 
Oggi invece tramite i nuovi, produttivissimi ibridi, perfetti e uguali, il contadino viene espropriato di un suo fondamentale diritto: quello di conservare e tramandare i propri semi. 


Come invertire la rotta

Ragazzi: cercate i semi dei vostri nonni e coltivate gli ecotipi della vostra regione
Adottate una vecchia varietà orticola! Contattate le associazioni di Seed Saversin Italia sono attivi diversi gruppi, da Gli Amici dell'Orto (a cui sono personalmente particolarmente legato) a Coltivare Condividendo, dalla Rete Semi Rurali a Civiltà Contadina
Provate anche con le associazioni di coltivatori biologici (come l'A.Ve. Pro.Bi. in Veneto) e gli Istituti Agrari che possono fornire sementi di antiche varietà cerealicole. Coltivate, condividete, seminate biodiversità. 
Perché i semi che abbiamo ricevuto dal passato, dai nostri nonni, non sono per noi, ma per i nostri figli.