lunedì 16 giugno 2014

Signoraggio e nuovo ordine mondiale (II° parte): il signoraggio oggi e la sovranità monetaria


Oggi si intende per signoraggio il reddito che la banca centrale e lo stato ottengono grazie alla possibilità di ricreare base monetaria in condizioni di monopolio.
Ciò che infatti si indica come "reddito monetario" in realtà non è altro che l'antico signoraggio. 
Se dunque un ente statale si prendesse la briga di stampare moneta, diffonderla, controllare l'operato degli Istituti bancari, certamente sarebbe legittimo istituire una tassa per coprire le spese necessarie al buon funzionamento di quell'ente. 
Ma la dimensione del moderno signoraggio va ben al di là di una semplice tassa. 
Il reddito monetario di una banca di emissione è dato infatti dalla differenza tra la somma degli interessi percepiti sulla cartamoneta emessa e prestata allo Stato e alle banche minori e il costo infinitesimale di carta, inchiostro e stampa, per la produzione del denaro.

Per esempio:
“Lo Stato prende in prestito una banconota da €100 euro dalla Banca Centrale e la «paga» con una «obbligazione» da €100. A fine anno dovrà «drenare» dalla popolazione quei €100 per restituirli al legittimo proprietario (che è il Banchiere Internazionale), più gli interessi, diciamo un 2,5%. La Banca Centrale ha stampato quella banconota spendendo (tutto compreso) 30 centesimi di euro (quindi era solo un pezzo di carta, una merce come un altra, come un biglietto del cinema) mentre la banconota da €100 (+2,5%), che lo Stato restituisce alla Banca Centrale, la toglie al popolo. 
Insomma, per ogni banconota di 100 Euro, lo stato ne restituisce 102,5 di Euro. 
Per esso e per il popolo (al quale ciuccierà i soldi per arrivare alla liquidazione dell'obbligazione) è già una partenza in debito. 
La Banca Centrale si comporta come se fosse la padrona della banconota.
Facendo due calcoli, il signoraggio su una singola banconota di 100 Euro è: 
€102,5 - €0,30 = €102,2."

Dall’epoca della Rivoluzione americana e francese è principio fermo in ogni democrazia e comune convinzione che la "sovranità" non appartiene al monarca ma esclusivamente al popolo. Così è in tutte le democrazie liberali dell’occidente.
L’Italia non fa eccezione infatti l’art.1 della nostra Costituzione stabilisce: "La sovranità appartiene al popolo il quale la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"
Per sovranità popolare si intende il potere politico nella sua radice primigenia, da cui traggono legittimazione il potere legislativo (il Parlamento), quello esecutivo (il Governo) e quello giudiziario (la Magistratura).
Derivazione diretta della sovranità popolare è la sovranità monetaria che determina il potere di chi detiene il controllo del credito e della moneta.
La moneta dovrebbe nascere di proprietà del cittadino, perché è lui che, accettandola, ne crea il valore
Purtroppo nella realtà non è così, perché il popolo, e quindi lo Stato, non detiene il potere di emettere moneta; potere che è stato delegato ad “altri”.
Nel momento in cui la moneta viene messa in circolazione dalla Banca centrale, sarebbe necessario che essa diventasse di proprietà di tutti i cittadini, i quali hanno contribuito in un modo o nell'altro alla crescita dell'economia reale.
E’ il popolo che produce, consuma, lavora, fa girare l’economia. Tutte queste attività ed altre ancora sono alla base della vita economica del paese e perciò sembra logico che i benefici derivati dalla messa in circolazione della moneta non debbano essere un'esclusiva di pochi banchieri bensì vadano distribuiti a tutti quei soggetti che concorrono nella vita economica del paese.
Come spiega il Bruno Tarquini (già Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello dell’Aquila )in un suo libro, il popolo ha perso la sovranità monetaria. Contrariamente a quanto accade nel rapporto tra Stato e cittadini con l'emissione dei titoli fruttiferi, in quello che viene a stabilirsi tra Stato e la Banca Centrale, con l'emissione della moneta bancaria (banconota), si coglie in tutta la sua drammaticità la rinuncia da parte dello Stato alla sovranità monetaria ed al conseguente esercizio del potere di "battere moneta"; si avverte sopratutto la stranezza di una situazione che poteva trovare una valida giustificazione in altri tempi, quando la moneta aveva un proprio valore intrinseco perché costituita da pezzi coniati in metalli pregiati, o quando essa, pur rappresentata da simboli cartacei, aveva tuttavia una copertura nelle riserve auree o argentee delle banche: allora era frequente che il re o il principe (cioè lo Stato), non avendo a propria disposizione risorse finanziarie (metallo pregiato) per sostenere, ad esempio, le spese di una guerra, ricorresse ai banchieri per ottenere i necessari prestiti.
Ma nell'attuale momento storico, in cui la moneta è costituita soltanto da supporto cartaceo, privo di qualunque copertura aurea o valutaria, non si comprende la ragione per la quale lo Stato debba richiedere ad un apposito istituto bancario privato il mutuo, sempre oneroso, di banconote create dal nulla e prive quindi di ogni valore intrinseco, trasferendogli in tal modo, con la sovranità monetaria, non solo il potere di emettere moneta, ma anche il governo di tutta la politica monetaria, attraverso il quale, come si è già esposto, non può non influire in maniera assolutamente determinante su tutta la politica economico-sociale del governo nato dalla volontà popolare.
Peraltro è bene sapere che lo Stato, oggi, per mezzo dei propri stabilimenti della Zecca, provvede alla creazione ed alla messa in circolazione di tutta la monetazione metallica, del cui ammontare (anche se di modestissimo valore rispetto a tutto il circolante cartaceo di banconote) esso non è debitore di nessuno, tanto meno della privata Banca d'Italia. Così come, fino a pochi anni fa, provvedeva, nello stesso modo, alla creazione ed alla messa in circolazione di carta moneta di cinquecento lire e, prima ancora, anche di mille lire, neanche in relazione delle quali ovviamente sorgeva in capo allo Stato alcuna obbligazione di restituzione né di pagamento di interessi, poiché di esse lo stesso
Stato non si indebitava, provvedendo direttamente alla loro creazione ed alla loro immissione in circolazione.

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