sabato 1 febbraio 2014

Solfiti si o solfiti no?


L'anidride solforosa (E220) ed i solfiti (E221 e E228) sono conservanti antimicrobici, antienzimatici ed antiossidanti utilizzati per evitare l'insorgere di muffe, lieviti e batteri, nonché per preservare il colore dei cibi e proteggerli dall'imbrunimento.
A seconda della concentrazione, l'anidride solforosa ed i solfiti possono esibire proprietà batteriostatiche (impediscono la crescita dei microrganismi) o battericide (ne provocano la morte).
L'anidride solforosa è un gas e può essere utilizzata come tale o in forma liquida, mentre i solfiti si presentano come polveri stabili, fortemente reattive in ambiente acquoso. Nel linguaggio comune, all'interno del termine solfiti vengono raggruppati l'anidride solforosa ed alcuni suoi sali inorganici (solfiti, bisolfiti e metabisolfiti) impiegati come additivi per la preparazione e la conservazione degli alimenti: E220 (Anidride solforosa); E221 (Solfito di sodio); E222 (Bisolfito di sodio); E223 (Metabisolfito di sodio); E224 (Metabisolfito di potassio); E225 (Solfito di potassio); E226 (Solfito di calcio); E227 (Bisolfito di calcio); E228 (Potassio solfito acido).
Cibi ricchi di solfiti sono il vino (normalmente ne contiene più il bianco rispetto al rosso e il dolce rispetto al secco), l'aceto di vino, il sidro, la birra, i succhi di fruttale gelatine, la frutta disidratata, la frutta secca (soprattutto quella pelata), la frutta candita, la frutta glassata, i frutti di mare, i gamberi e gli altri crostacei, il baccalàla verdura conservata (liofilizzata, essiccata, surgelata, sott'olio, sott'aceto, ecc.), i funghi secchi, l'uvetta e i prodotti a base di carne come hot dog ed hamburger. 
Per legge, l'impiego di solfiti negli alimenti carnei è fortemente limitato in quanto riducono notevolmente la biodisponibilità della tiamina (vitamina B1).
L'ADI (dose giornaliera di assunzione accettabile) dell'anidride solforosa è stata fissata in 0,7 mg/kg/die. In generale nei paesi sviluppati l'intake giornaliero non supera i 20 mg.


La sensibilità ai solfiti

Negli individui sani, alle dosi comunemente impiegate nell'industria alimentare, l'anidride solforosa è considerata un additivo sicuro; si tratta infatti di un composto naturale, prodotto anche dal nostro organismo durante il metabolismo di alcuni amminoacidi e facilmente inattivato dai sistemi di detossificazione endogeni (grazie agli enzimi solfito-ossidasi che la trasformano nell'innocuo solfato). 
Nonostante questa sicurezza d'uso, l'anidride solforosa ed i solfiti possono arrecare qualche problema, talvolta grave, alle persone per così dire "sensibili".
Il biossido di zolfo, o anidride solforosa, è un gas dall'odore acre e pungente che si sviluppa quando si brucia lo zolfo. I solfiti, dal canto loro, reagiscono con gli acidi sviluppando biossido di zolfo, che ha appunto proprietà sbiancanti, battericide, ma anche fortemente irritanti. Va comunque detto che, una volta aggiunti al prodotto alimentare, i solfiti tendono a combinarsi irreversibilmente con alcuni suoi componenti, divenendo in gran parte inattivi, quindi non soggetti ad evaporazione.
Il contatto dei solfiti alimentari con l'acidità gastrica genera una certa quantità di anidride solforosa, che rappresenta uno dei gas più efficaci nell'indurre attacchi di broncospasmo nei soggetti asmaticiSono particolarmente esposti al rischio di subire questo genere di reazioni anche le persone allergiche all'aspirina. In generale, si stima che i solfiti causino problemi a circa lo 0,05-1% della popolazione (a seconda delle fonti e dei dosaggi), con un rischio sensibilmente maggiore per gli individui asmatici (nei quali la prevalenza può raggiungere il 5%). In questo contesto viene usato il termine sensibilità poiché non si può parlare di vera e propria allergia, ma di un'intolleranza che scatena sintomi pseudoallergici, tra cui il caratteristico "cerchio alla testa" (a cui contribuisce ovviamente anche l'alcol). Oltre alle emicranie benigne bisogna aggiungere il già ricordato rischio di crisi asmatiche (broncospasmo), ma anche di orticaria, nausea, vomito, sudorazione intensa, vampate di calore e ipotensione. I sintomi si manifestano generalmente entro 15-30 minuti dall'ingestione.
Proprio per la potenziale attività similallergenica dei solfiti e dell'anidride solforosa, i produttori alimentari sono ormai da qualche anno obbligati a dichiarare in etichetta la presenza di queste sostanze; in particolare, tale obbligo vige qualora la concentrazione di anidride solforosa nell'alimento superi i 10 mg/L o i 10 mg/kg.

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