venerdì 15 marzo 2013

Esempi di "sviluppo alternativo" (I parte): l'India di Gandhi



Parlando di esempi della storia di società di "sviluppo alternativo" (vale a dire di società con un approcio diverso ai temi economici, sociali e ambientali, differenti da quella attuale basata e dipendente dal Mercato), l'India di Ghandi merita un citazione d'onore.

Nello scenario della lotta per l'indipendenza indiana della prima metà del 1900, la figura di Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma, si impone e diventa il simbolo e il principale protagonista della lotta non violenta (satyagraha) per la rivendicazione dei diritti, della giustizia e dell'amore verso il prossimo. 
Il cammino, in cui Gandhi verrà sostenuto col passare del tempo da una percentuale sempre maggiore di popolazione indiana, porterà, dopo repressioni, arresti, omicidi, persino stermini di massa, l'India all'indipendenza e alla sua emancipazione dal dominio coloniale inglese.

Già dagli anni '20 Gandhi allarga il suo principio di nonviolenza e punta sull'autonomia e all'autosufficienza economica del paese, attraverso l'utilizzo dei beni locali, vedendola 
come una parte del più ampio obiettivo della Swaraj. 
"Swadeshi" significava "autosufficienza" dell'India dall'economia inglese, puntando sulla produzione interna alla nazione dei prodotti necessari alla popolazione
A questo proposito nell'agosto del 1931 Gandhi affermerà:
«Un paese rimane in povertà, materiale e spirituale, se non sviluppa il suo artigianato e le sue industrie e vive una vita da parassita importando manufatti dall'estero».
Un settore viene visto come essenziale, quello tessile:
«I tessuti che importiamo dall'Occidente hanno letteralmente ucciso milioni di nostri fratelli e sorelle».
Gandhi chiede a tutti gli indiani, sia poveri che ricchi (in un'ideale di uguaglianza), di vestire il khadi, vestito filato a mano con l'arcolaio a ruota (il charka) per boicottare le stoffe inglesi. Gandhi propone la produzione casalinga del khadi come soluzione alla povertà dovuta alla disoccupazione invernale dei contadini indiani: almeno un'ora al giorno ogni indiano avrebbe dovuto filare e tessere a mano. Inoltre questa attività permette di includere le donne nel movimento di indipendenza. Lo stesso Gandhi filava ogni giorno, perfino quando era all'estero, e andava in giro sempre avvolto in un dhoti (abito contadino) bianco, fatto in khadi, che diventerà l'uniforme del Partito del Congresso Indiano.

Gandhi ha posto la nonviolenza al centro della sua concezione del progresso umano: l'essere umano è sia animale sia spirito. 
Come animale l'essere umano basa il suo rapporto col mondo sulla trasformazione materiale dei corpi e dunque sull'uso della forza, sulla himsa; come spirito l'essere umano fonda le sue relazioni col mondo sulla comunicazione verbale e sulla persuasione razionale, dunque sulla ahimsa. 
Il progresso è l'umanizzazione dell'uomo, la graduale affermazione della sua identità specifica, del suo essere spirito
Il progresso è di conseguenza la graduale riduzione del tasso di violenza (himsa) presente nei rapporti umani e la graduale affermazione della verità e della ahimsa, cioè della nonviolenza, del bene, della giustizia, nella vita sociale e politica:
«Bisogna combattere la violenza. Il bene che pare derivarne è solo apparente; il male che ne deriva rimane per sempre.»

Il programma politico di Gandhi fu rivolto essenzialmente all'indipendenza nazionale dell'India con un'ispirazione democratica e socialista. 
Questi elementi non erano innovativi dato che derivavano dalla tradizione politica europea (nazionalismo democratico di Mazzini, socialismo libertario di Morris ecc.). 
La sua innovazione riguardò invece la teoria della rivoluzione, che nell'Europa moderna si era formata con il contributo di quasi tutte le correnti del pensiero politico: quella liberale (Locke, Jefferson e i padri della Rivoluzione americana, Sieyes e i teorici liberali della Rivoluzione francese), quella democratica (Rousseau, Robespierre, Saint-Just e altri teorici giacobini; Mazzini) e quella socialista, anarchica e comunista (Babeuf, Bakunin, Marx, Lenin, ecc.). 
Nel 1916 Gandhi disse in un discorso:
«Io stesso sono un anarchico, ma di un tipo diverso.»
Gandhi non si dilungò molto sulla struttura che avrebbe dovuto avere la società indiana secondo il suo pensiero filosofico, ma era ispirato dalla visione di una futura società indiana di stampo che potremmo definire socialista, basata sull'agricoltura e sull'artigianato tradizionali. 
Gandhi non era anti-capitalista:
«Il capitale non è malvagio in sé; è il suo uso sbagliato che è malvagio. Il capitale, in una forma o un'altra, sarà sempre necessario.»
Una società armonica e che tiene alla sua sopravvivenza deve rifuggire dalle sette cose che possono distruggerla: "Ricchezza senza lavoro - Piacere senza coscienza - Conoscenza senza carattere - Commercio senza moralità - Scienza senza umanità - Religione senza sacrificio - Politica senza principi''"
Ma pensava che il popolo indiano dovesse vivere condividendo le risorse della terra, senza utilizzare il moderno apparato industriale, organizzato in una serie di villaggi autogovernati in cui l'ordine era retto da brigate non violente e che commerciavano tra loro per ottenere i beni necessari per la sussistenza.
Gandhi era contro l'educazione convenzionale: credeva che i bambini apprendessero meglio dai genitori e dalla società piuttosto che dalle scuole. In Sudafrica, insieme a degli anziani, formò un gruppo di insegnanti.

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