giovedì 31 gennaio 2013

Intervista a Massimo Fini



La dittatura dello spread. Si può definire figlia di un “disegno”?


È una dinamica normale che dipende, però, da una situazione totalmente anormale. C’è un modello di sviluppo occidentale – ma che ormai ha coinvolto anche la Russia, l’India e la Cina – che è arrivato al suo limite perché si basa sulla crescita esponenziale che esiste in matematica e non in natura. Lo vedo come una macchina molto potente che è partita a metà del XVIII secolo, che adesso si trova davanti a un muro ma pretende di proseguire e dà di gas. È la mitologia della crescita quando crescere non si può più.


Il fatto che in Italia sia stato commissariato un governo legittimo, eletto, è un fatto normale?

Legittimamente eletto dal popolo! Voi credete ancora alla democrazia? Mi meraviglio. La democrazia è un sistema tarocco dove noi ogni cinque anni andiamo a legittimare coloro che poi “non” ci governano. Non vedo complotti, vedo una situazione molto peggiore perché se si pensa a un complotto lo si può anche sventare. Ma questa è la logica della globalizzazione che non comincia adesso ma con la Rivoluzione industriale. È chiaro che nessun Paese è più padrone di se stesso.


Il governo tecnico ha sdoganato ciò che prima si denunciava solo nei circuiti indipendenti: i “poteri” che suppliscono alla democrazia?

Era un argomento tabù ma la realtà era quella. Chi domina nel sistema è il denaro e in primo luogo le banche. Diciamo che è venuto più alla luce del sole ma c’era assolutamente anche prima. Siamo vittime del sistema che abbiamo creato, anche quelli che credono di guidare la cosa sono in realtà solo le mosche cocchiere. Siamo vittime di un meccanismo perverso, paranoico del “produci, consuma, crepa”. Questo è il nocciolo di fondo: che poi governi Obama o Monti siamo tutti nella stessa barca. Una barca che affonda.


La sovranità nazionale non ha più senso?


La questione non è la perdita di sovranità, perché questa è avvenuta molto tempo prima. Naturalmente per tutto un periodo certe questioni sono state mascherate, perché i paesi occidentali hanno rapinato i paesi del Terzo mondo e quindi sembrava che aumentasse la ricchezza di questi paesi. In realtà aumentava a danno degli altri. Oggi c’è una competizione spietata tra Stati e adesso ce ne accorgiamo anche noi: ma non ho nessuna pena per la sorte del popolo italiano e degli altri occidentali. Se la sono cercata, non si sono opposti, non hanno capito che cos’è in fondo la globalizzazione.


C’è chi propone una nuova “Bretton Woods” come rimedio.



L’autarchia fascista, l’autarchia degli anni ’30 era un modo ragionevole per tenersi da questo circolo mortale che è quello dei mercati. Noi oggi da chi dipendiamo? Neanche da delle banche. Ma da un meccanismo anonimo chiamato mercato che è peggio di qualunque dittatura: perché un dittatore puoi sperare di abbatterlo, questo è un meccanismo che si autoprotegge. La reazione della leadership mondiali alla crisi è stata, immettendo nuovo denaro, come drogare il cavallo già dopato sperando che faccia ancora qualche passo. Fare una nuova Bretton Woods o non farla è un’ipotesi perfettamente irrilevante.


Come mai un’analisi del genere viene spesso banalizzata additandola come “complottismo”?


Perché non si vuole ammettere di non aver capito un cazzo. E allora il complotto è il modo migliore per rimuovere questo fatto. Mi sono talmente stancato che il mio interesse principale oggi si chiama Afghanistan.


È l’unico antidoto?

Ci sono alcune correnti di pensiero americane come il bioregionalismo, il neocomunitarismo che parlano di un ritorno graduale e ragionato, limitato a forme di autoconsumo e di autoproduzione che passano necessariamente per il recupero della terra e il ridimensionamento drastico dell’apparato industriale e finanziario. Il discorso di fondo sarebbe riportare l’uomo al centro e spedire economia e tecnologia nella parte marginale che hanno sempre avuto. Per questo scelgo l’Afghanistan, perché è composto da uomini che hanno vissuto e vivono avendo in testa altri valori.

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