Le scuole (e le autostrade) danno a prima vista l'impressione di essere egualmente aperte a tutti.
Di fatto lo sono soltanto a chi rinnova continuamente le proprie credenziali. E come le autostrade fanno credere che l'attuale livello dei loro costi annui sia indispensabile per la mobilità della gente, così le scuole sono ritenute essenziali per l'acquisizione della competenza richiesta da una società che fa uso della tecnologia moderna.
Abbiamo denunciato la natura di falso servizio pubblico delle reti autostradali sottolineando la loro dipendenza dall'automobile privata. Ora, le scuole sono basate sul presupposto altrettanto falso che l'apprendimento sia il risultato di un insegnamento programmatico.
Le autostrade nascono da una perversione del desiderio e del bisogno di muoversi, trasformati in richiesta di macchine private. Nello stesso modo le scuole pervertono l'inclinazione naturale a crescere e a imparare, trasformandola in richiesta di istruzione.
Questa richiesta di una maturità fabbricata in serie costituisce una rinuncia all'attività autonoma assai più grave che non la richiesta di prodotti fabbricati in serie. Le scuole non sono soltanto a destra delle autostrade e delle automobili, ma si collocano vicino al punto estremo dello spettro istituzionale occupato dalle istituzioni totali.
Persino i produttori di conteggi dei cadaveri si limitano a uccidere dei corpi, mentre la scuola, facendo abdicare gli uomini alla responsabilità del proprio sviluppo, ne conduce molti a una sorta di suicidio spirituale.
Le autostrade vengono pagate in parte da coloro che se ne servono, dato che i pedaggi e le imposte sulla benzina escono dalle tasche dei soli automobilisti. La scuola invece è un esempio perfetto di tassazione regressiva, con i laureati privilegiati che cavalcano in groppa all'intero pubblico pagante. La scuola mette una taglia sulla promozione.
Il sottoconsumo in chilometri d'autostrada non è all'incirca tanto costoso quanto il sottoconsumo in anni di scuola.
A Los Angeles chi non possieda una macchina può essere quasi ridotto all'immobilità, ma se riesce in qualche modo a raggiungere un luogo di lavoro può trovare e conservare un impiego. Per chi ha abbandonato la scuola non esistono invece alternative.
L’abitante dei quartieri residenziali suburbani con la Lincoln nuova fiammante, e il suo cugino campagnolo che guida un vecchio catenaccio ammaccato, sfruttano sostanzialmente l'autostrada nella stessa misura, anche se l'automobile del primo costa trenta volte più dell'altra, mentre invece il valore dell'esperienza scolastica di un uomo è determinato dal numero di anni portati a termine e dal costo delle scuole frequentate.
La legge non costringe nessuno a guidare, mentre obbliga tutti ad andare a scuola.
L'analisi delle istituzioni secondo la loro attuale collocazione su un arco da sinistra a destra mi permette di precisare la mia convinzione che un cambiamento radicale della società debba partire da un atteggiamento diverso nei confronti delle istituzioni e di spiegare perché le dimensioni di un futuro nel quale valga la pena vivere dipendano dal ringiovanimento del modo di operare delle istituzioni stesse.
Durante lo scorso decennio, istituzioni nate in periodi diversi dopo la rivoluzione francese hanno raggiunto simultaneamente la vecchiaia: i sistemi scolastici pubblici istituiti ai tempi di Jefferson o di Ataturk come quelli sorti dopo la seconda guerra mondiale sono diventati egualmente burocratici, fini a se stessi e manipolatori.
Lo stesso è accaduto ai sistemi di assistenza sociale ai sindacati, alle principali chiese, ai servizi diplomatici e alla sistemazione dei vecchi e dei defunti.
Oggi, per esempio, i sistemi scolastici della Colombia, dell'lnghilterra, dell'URSS e degli Stati Uniti si assomigliano più di quanto le scuole americane del 1890 assomigliassero a quelle di oggi o a quelle che c'erano allora in Russia. Oggi infatti tutte le scuole sono obbligatorie, illimitate nel tempo, competitive.
La stessa convergenza nel modo d'operare dell'istituzione si verifica anche nell'assistenza
sanitaria, nei commerci, nell'amministrazione del personale e nella vita politica. Tutti questi
processi istituzionali tendono ad ammucchiarsi all'estremità manipolatrice del nostro spettro.
Da questa convergenza delle istituzioni deriva un amalgamarsi delle varie burocrazie mondiali.
Il funzionamento, i sistemi di valutazione e gli stessi accessori (dai libri di testo ai computer) sono modellati sugli esempi dell'Europa occidentale anche dalle commissioni per la programmazione dell'Afghanistan o di Costarica. Dappertutto queste burocrazie sembrano concentrarsi su un unico compito: promuovere l'espansione delle istituzioni di destra.
Si preoccupano cioè di fabbricare oggetti, di fabbricare regole rituali, e di fabbricare - e aggiornare - “verità ufficiali”, l'ideologia o l'autorità che stabilisce il valore corrente da attribuire alloro prodotto. La tecnologia fornisce a queste burocrazie un crescente potere sul settore destro della società.
Il settore di sinistra sembra atrofizzarsi, non perché la tecnologia sia meno capace di accrescere la portata dell'azione umana o di lasciare spazio al gioco dell'immaginazione individuale e della creatività personale, ma perché un'utilizzazione della tecnologia in questo senso non aumenterebbe il potere dell'elite che l'amministra. Il ricevitore postale non ha alcun controllo sull'utilizzazione pratica della posta, il centralinista o il funzionario della società dei telefoni non ha il potere di impedire che, mediante la loro rete, si progettino adulteri, omicidi o atti di sovversione.
Nella scelta tra destra e sinistra istituzionale quella che è in gioco è la natura stessa della vita umana.
L’uomo deve decidere se vuoI essere ricco di cose o di libertà di servirsene. Deve scegliere tra due opposti modi di vivere e tra le relative tabelle di produzione.
Già Aristotele aveva scoperto che “fabbricare e agire” sono due cose diverse, al punto che l'una non comprende mai l'altra. “Infatti ne agire è un modo di fabbricare, ne fabbricare è un modo di agire veramente. L’architettura (techne) è un modo di fabbricare... di dar vita a qualcosa la cui origine è in chi la fabbrica e non nella cosa. La fabbricazione ha sempre un fine altro da se l'azione no: una buona azione infatti ha come fine se stessa. La perfezione nel fabbricare è un'arte, quella nell'agire una virtù.”.
La parola che Aristotele adopera per definire la fabbricazione è poesis, quella per definire l'azione è praxis. Uno spostamento a destra significa che un'istituzione è in via di ristrutturazione per aumentare la sua capacità di “fabbricare”, mentre quando essa si sposta a sinistra significa che la ristrutturazione ha come fine l’incremento della “azione” o praxis.
La tecnologia moderna ha accresciuto le possibilità dell'uomo di cedere la “fabbricazione” delle cose alle macchine, e il suo tempo potenzialmente disponibile per l'“azione” è aumentato.
La “fabbricazione” dei generi di prima necessità non occupa più tutte le sue ore. Il risultato di questa modernizzazione è la disoccupazione: è l'ozio dell'uomo che non ha niente da “fabbricare” e che non sa cosa “fare”, cioè come “agire”. La disoccupazione è l'ozio triste di chi crede, contrariamente ad Aristotele, che fabbricare cose o lavorare sia virtù e l'ozio sia un male. La disoccupazione è l'esperienza dell'uomo che si è arreso all'etica protestante.
Secondo Weber, il tempo libero è necessario all'uomo per poter lavorare. Secondo Aristotele, il lavoro è necessario all'uomo per poter avere del tempo libero. La tecnologia mette a disposizione dell'uomo un tempo che egli può riempire, a sua discrezione, fabbricando o agendo. All’intera cultura si offre oggi di scegliere tra la tristezza della disoccupazione e la gioia del tempo libero.
La scelta dipende da come la cultura fa funzionare le proprie istituzioni. È una scelta che sarebbe stata impensabile in una cultura antica basata sull'agricoltura contadina o sulla schiavitù, ma che è diventata inevitabile per l'uomo postindustriale. Uno dei modi per riempire il tempo disponibile consiste nello stimolare una maggiore richiesta di consumo di merci e, insieme, di produzione di servizi.
La prima comporta un'economia che fornisca un campionario sempre crescente di prodotti sempre più nuovi, da fabbricare, consumare, sprecare e rimettere in ciclo. La seconda comporta il vano tentativo di “fabbricare” azioni virtuose tramutandole nei prodotti di istituzioni-”servizi”.
Ciò porta a identificare la scuola con l'educazione, l'assistenza medica con la salute, la partecipazione a uno spettacolo con lo svago, la velocità con una locomozione efficiente.
Questa prima scelta viene oggi chiamata sviluppo. Il secondo modo, radicalmente opposto, di riempire il tempo divenuto libero consiste nella disponibilità di una limitata gamma di beni più durevoli e nell'accesso a istituzioni che permettano di aumentare le possibilità e la desiderabilità dell'interazione umana. Un'economia fondata su beni durevoli è il contrario esatto di quella fondata sull'obsolescenza pianificato. Comporta infatti una limitazione all'elenco del beni. Questi dovrebbero essere tali da assicurare il massimo delle possibilità di “fare” qualcosa servendosi di essi: articoli cioè che ognuno dovrebbe poter montare, adoperare, riutilizzare e riparare per proprio conto. A questa lista di beni durevoli, riparabili e riutilizzabili dovrà accompagnarsi non un aumento dei servizi prodotti dalle istituzioni, ma una cornice istituzionale che educhi costantemente all'azione, alla partecipazione e all'autonomia.
Il cammino della nostra società dal presente - dove tutte le istituzioni gravitano verso una burocrazia postindustriale - al futuro della convivialità postindustriale - dove l'intensità dell'azione prevarrebbe sulla produzione - deve partire da un rinnovamento del modo d'operare delle istituzioni-servizi, e anzitutto da un rinnovamento del sistema educativo, Un avvenire desiderabile e attuabile dipende insomma dalla nostra volontà di destinare le nostre capacità tecnologiche allo sviluppo delle istituzioni conviviali.
Nel campo della ricerca pedagogica, ciò equivale alla richiesta di un capovolgimento delle tendenze attuali.
Fonte: Descolarizzare la società, Ivan Illich
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