L’impatto ambientale degli allevamenti, siano essi destinati alla produzione di formaggi o di carne, è devastante.
Il 74% delle emissioni mondiali è causato dai bovini. Questo è principalmente dovuto all'abbondanza di mucche da latte, ma anche dalla grande quantità di metano e protossido di azoto emessi da tutti gli allevamenti sia intensivi che estensivi.
L'inquinamento causato dai bovini da latte
Una bovina da latte produce 20 tonnellate all'anno di liquame, di cui 80 chili azotati.
In Italia, ogni regione ha un carico massimo di chili all'anno di azoto per ettaro, superato il quale il terreno non riuscirebbe a reggere, col rischio concreto di inquinamento della falda acquifera.
In Emilia Romagna la normativa permette un carico massimo di 340 chili di azoto all'anno per ettaro, quindi non più di quattro bovini per ettaro. Ma il limite si abbassa a 170 chili di azoto nelle zone vulnerabili, cioè con presenza di acquiferi, e negli allevamenti biologici: 2 vacche per ettaro.
Va detto che la componente azotata è utile per fertilizzare il terreno, ma se troppo elevata provoca un inquinamento delle acque con i nitrati (NO3) e dell'aria con l'ammoniaca (NH3), precursore delle polveri sottili (pm10) così insidioso da far impallidire le emissioni da traffico automobilistico.
Per ogni capo tenuto nelle stalle occorre dunque disporre di terreni sufficienti per lo spandimento, in proprietà o in affitto.
E' così che può capitare che le autobotti con letame e liquami non compiano lunghi tragitti, ma sversino più volte in appezzamenti defilati, quei poderi sacrificati per liberarsi dei liquami in eccesso.
Anche i residui farmacologici rappresentano un importante rischio. Negli allevamenti odierni l'uso di antibiotici e ormoni è molto diffuso, per motivi terapeutici ma più spesso per motivi non terapeutici quali profilassi delle malattie e incremento della crescita o della produzione dell'animale.
Nei paesi sviluppati i farmaci usati nella zootecnia rappresentano una quota elevata del totale nazionale, ad esempio negli USA oltre il 70% degli antibiotici usati sono somministrati agli animali allevati. Una parte sostanziale dei farmaci somministrati non viene assorbita dall'animale e si disperde nelle acque tramite lo scarico dei reflui o l'uso del concime sui terreni.
La contaminazione delle acque con agenti antimicrobici provoca un antibiotico-resistenza nei batteri, mentre la presenza di sostanze ormonali disciolte può avere effetti sulle colture e può provocare alterazioni del sistema endocrino negli esseri umani e negli animali selvatici.
Il dispendio di cibo e acqua
In estate, una mucca da latte mangia circa 70 kg di erba al giorno. In inverno mangia invece fieno, foraggio insilato e 2–3 kg di alimenti complementari. Quotidianamente, una mucca beve dai 50 agli 80 litri d'acqua.
Inoltre l'alimentazione delle mucche consiste quasi sempre nell'uso di mangimi quali cereali e leguminose, che potrebbero invece essere utilizzati direttamente dall'uomo per il suo sostentamento.
Per produrre un litro di latte occorrono 1020 litri di acqua per kg. Il paragone può essere fatto con le specie vegetali: per un chilogrammo di riso, la coltura a più alta richiesta idrica, occorrono 2500 litri di acqua; per un chilo di soia ne bastano 2145, 1827 per un chilo di grano, 1220 per un chilo di mais e 290 per un chilo di patate.
Secondo la FAO, «il settore dell'allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggiore fattore d'uso antropico delle terre»: direttamente e indirettamente, la moderna zootecnica complessivamente utilizza il 30% dell'intera superficie terrestre non ricoperta dai ghiacci e il 70% di tutte le terre agricole. Secondo l'International Livestock Research Institute (ILRI) occupa il 45% delle terre emerse del pianeta. Per lo più le terre vengono usate per il pascolo degli animali: quasi il 29% della superficie degli Stati Uniti, oltre il 40% del territorio della Cina (più di 4 milioni di chilometri quadrati) e più del 50% della regione orientale del continente africano, sono occupati da pascoli.
La produttività dei prati a pascolo è molto variabile: un ettaro di prateria molto ricca può sostenere un manzo per un anno, ma possono essere necessari anche 20 ettari se si tratta di prateria marginale. Un altro importante fattore d'uso delle terre è la produzione di mangime: il 33% delle terre arabili del pianeta è usato a tale scopo.
Inoltre l'allevamento prevede, per la sua realizzazione, la deforestazione. Si pensi alla foresta Amazzonica, che col tempo si sta riducendo sempre più, per l'espandersi degli allevamenti intensivi.
Ultimo fattore da considerare, ma non per importanza, è la degradazione del suolo: la continua pressione dello zoccolo provoca compattamento del terreno, mentre l'estirpazione della vegetazione effettuata dall'animale per nutrirsi provoca impoverimento della flora. Il compattamento del terreno diminuisce la capacità della terra di trattenere acqua e di rigenerarsi, mentre l'impoverimento della flora compromette la resistenza del suolo non più trattenuta dalle radici e riduce funzioni essenziali svolte dai sistemi vegetali quali l'assorbimento dell'acqua e il riciclo degli elementi nutritivi: la terra finisce così per essere sempre più esposta all'erosione del vento e dell'acqua e destinata all'isterilimento agricolo.
L'allevamento globale e i gas serra
Secondo il rapporto della FAO, nonostante l'allevamento di animali contribuisca solo limitatamente alla produzione di anidride carbonica (CO2) (il principale gas a effetto serra prodotto dall'uomo) con un 9% del totale, è tuttavia responsabile di alte emissioni di altri importanti gas serra: il 35-40% delle emissioni di metano, che ha un effetto 23 volte superiore a quello dell'anidride carbonica come fattore di riscaldamento del globo, il 65% delle emissioni di ossido di diazoto, un gas che è 296 volte più dannoso della CO2, e il 64% delle emissioni di ammoniaca, un gas che contribuisce significativamente alle piogge acide e all'acidificazione degli ecosistemi, sono prodotti infatti dal settore zootecnico. Sempre secondo la FAO, nella quota calcolata del 18% di emissioni di gas serra attribuite al settore zootecnico, il contributo maggiore proviene dagli allevamenti estensivi (13%), mentre una quota più ridotta (5%) è attribuibile ai sistemi intensivi.
È stato stimato che in sistemi CAFO (Confined Animal Feeding Operations) (sistemi di allevamento intensivo a ridotte emissioni di gas serra) la produzione di 225 g di carne di manzo produce emissioni CO2 equivalenti pari a quelle generate da un viaggio in auto di 15,8 km, 4,1 km per la stessa quantità di carne di maiale e 1,17 km per la stessa quantità di carne di pollo, mentre 225 g di asparagi (tra i vegetali a più alto impatto nella produzione di gas serra) corrispondono a guidare un'auto per 440 metri e 225 g di patate corrispondono a guidare un'auto per 300 metri. Secondo calcoli della FAO la produzione di un solo chilo di latte comporta una emissione di 2,4 kg di CO2 equivalenti. Un altro studio ha stimato che la produzione di un chilogrammo di manzo causa una emissione di gas serra e altri inquinanti maggiore di quella che si ottiene guidando un'auto per tre ore e lasciando nel frattempo accese tutte le luci di casa.