venerdì 29 agosto 2014

La lotta per il dominio del mercato globale (II° parte): le conseguenze dei trattati TTP e TTIP


Le conseguenze principali all'approvazione dei trattati riguarderanno:
  • l'impatto sul mercato del lavoro, soprattutto in settori, segnala commissione, come come quello dell’allevamento, della produzione di fertilizzanti, di bioetanolo e di zucchero), 
  • la proprietà intellettuale; le bozze del TTIP nasconderebbero un ritorno dello spirito e di interi paragrafi dell’ACTA (Anti-counterfeiting trade agreement), l’accordo multilaterale sulla proprietà intellettuale fortemente voluto dagli USA con cui il copyright avrebbe acquisito un potere legale e sanzionatorio enorme a scapito di un libero accesso alla cultura, concedendo alle multinazionali un potere di fatto illimitato sulla gestione dei dati personali degli utenti della rete a totale scapito della loro privacy. L’ACTA è stato fermato dal Parlamento europeo nel 2012 anche seguito delle gradi proteste che avevano attraversato il continente, ma rischia adesso risorgere dalle ceneri nei dettagli dell’accordo trans-atlantico. Insieme alla perdita della privacy e dei ‘diritti digitali’ per tutti gli utenti di internet, tale accordo darebbe mano libera ai colossi multinazionali a fare del web un sistema di monitoraggio e sorveglianza: una trappola per la libertà di informazione e di fruizione della comunicazione via web).
  • la libertà degli investimenti; tra i capitoli più temuti del TPP e del TTIP, quello sugli strumenti di tutela legale della libertà di investimenti per i privati minaccia di trasformare davvero ogni forma di ‘bene comune’, dai servizi pubblici alle cure mediche, in merce da scambiare sul mercato per il profitto delle grandi corporations. Secondo le indiscrezioni fornite dal CEO, entrambi i trattati contemplerebbero la piena introduzione della libera concorrenza quale principio cui ogni servizio pubblico debba sottostare, considerando anche i ‘potenziali rischi’ e gli ‘investimenti mancati’ provocati dall’ingerenza dello Stato. Come già accaduto nel novembre 2012 in Canada, un casa farmaceutica potrebbe procedere legalmente contro uno Stato che limitasse la libertà di investimenti garantendo degli standard sanitari e medici a livello nazionale. Ciò avverrebbe principalmente attraverso un rafforzamento della normativa a favore della libertà di impresa e di un nuovo sistema di risoluzione delle contese tra stato e privati che permetterebbe alle multinazionali di denunciare i governi che non rispettassero ‘la libertà e protezione degli investimenti’ con lo strumento dell’arbitrato internazionale tra i firmatari dei trattati commerciali, sottraendosi ai tribunali nazionali e sovranazionali (come la Corte europea). I due trattati costituirebbero in questo modo una nuova sfera legale e giudiziaria a uso privato cui i singoli governi si troverebbero a cedere altri pezzi della propria sovranità, insieme alla tutela dei diritti fondamentali dei suoi cittadini. Possiamo soltanto immaginare come ciò possa tradursi non solo per l’Europa (e il sud Europa), ma anche per tutti quei contraenti deboli dell’accordo trans-pacifico (come il Cile e il Perù) che di fatto finirebbero per essere legalmenteincatenati ai ricatti delle grandi compagnie e dei loro investimenti predatori.
  • l'ambiente e l'agricoltura; nella logica degli standard al ribasso tra Stati Uniti e resto del mondo finirebbero in pieno i regimi di tutela ambientale, climatica e agricola e, se consideriamo le scarse tutele americane in tema di emissioni inquinanti e uso di tecnologie e prodotti ‘invasivi’ nel campo agro-alimentare, vi sono serie ragioni per temere uno dei colpi più violenti alla salvaguardia dell’ambiente degli ultimi decenni. L’armonizzazione degli standard qualitativi tra le due sponde dell’atlantico potrebbe portare in Europa, come denunciato da diverse voci, all’abbandono del ‘principio precauzionale’ che finora ha tenuto alla larga gran parte degli OGM, dei capi bovini dopati con ormoni e dei volatili sterilizzati chimicamente, tipici del made in USA. Lo sviluppo delle bio-tecnologie alimentari, in primo luogo con la libera commercializzazione degli OGM, è proprio l’obiettivo delle campagne milionarie e decennali condotte da giganti multinazionali come la Monsanto, la DuPont e la Dow Chemical. Lo stesso vale per gli standard agricoli sull’uso dei pesticidi e la tutela del paesaggio che potrebbero realisticamente pendere dal lato del più ‘liberale’ regime americano, tutto a svantaggio di un più elevato livello di sicurezza della qualità del cibo, della produzione in biologico, e della tutela dell’agricoltura europea costretta a subire, in particolare nell’area mediterranea, il durissimo colpo di un’impari e aggressiva concorrenza statunitense.
  • le banche e le società finanziarie; i padroni della finanza tra Stati Uniti ed Europa starebbero approfittando di questo ambizioso Round di negoziazioni per ottenere quello che, sotto gli occhi troppo attenti dell’opinione pubblica, difficilmente riuscirebbero a vedersi garantito dai governi nazionali in un momento di crisi simile: cioè un’ulteriore deregolamentazione del settore finanziario a livello globale. Attraverso il capitolo sulla tutela degli investimenti, le grandi società finanziarie potrebbero garantirsi ulteriori strumenti legali per il ‘risarcimento delle perdite’ e la tutela contro i rischi derivanti dal libero scambio di pacchetti di titoli più o meno tossici. Per quanto a parole l’intento dichiarato sia quello di una ‘regolamentazione prudente’ dei flussi finanziari, vi sono buone ragioni per sospettare, come fa il rapporto del CEO (pp. 22-23), che l’opposizione delle banche e dei governi inglese e tedesco, insieme ai colossi americani, saranno in fine determinanti nel ridurre al solo livello nazionale i regimi di controllo, favorendo un’ulteriore apertura dei mercati finanziari a livello atlantico.

mercoledì 27 agosto 2014

La lotta per il dominio del mercato globale (I° parte): i trattati TTP e TTIP


Nel generale silenzio televisivo, relegato in fondo alle pagine dei principali giornali e dei siti specialistici di economia internazionale, al riparo da ogni pericolo di dibattito pubblico fra le diverse sponde dell’atlantico e del pacifico, un ristretto gruppo di negoziatori governativi e un numero di gran lunga più alto di lobbisti per conto delle più potenti multinazionali stanno pianificando da almeno quattro anni i due più mastodontici trattati commerciali internazionali del ventunesimo secolo.
Un enorme programma di smantellamento delle residue barriere commerciali, giuridiche e politiche tra Stati Uniti, Europa e dodici paesi delle due sponde del pacifico, funzionale alla creazione della più grande area di libero scambio del pianeta (comprendendo economie per circa il 60% del prodotto interno lordo mondiale), sia per l’estensione geografica che per la profondità capillare con cui il programma di liberalizzazioni e deregolamentazioni abbatterà tutti gli ostacoli sul suo cammino: dai diritti del lavoro alla proprietà intellettuale, dai servizi pubblici fondamentali fino al diritto alla salute. 
Si tratta del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP) tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, secondo step del più vicino Transpacific Partnership (TTP) che, che l’amministrazione Obama intenderebbe concludere prima della fine dell’anno, escludendo di fatto il Congresso dalle trattative in corso e accelerando i tavoli a porte chiuse con i Paesi partner (per la precisione: Giappone, Messico, Canada, Australia, Malesia, Cile, Singapore, Perù, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei) e gli incontri segreti con gli oltre 600 rappresentanti delle multinazionali. 
I contenuti e i termini delle trattative in corso sono di fatto inaccessibili agli organi di informazione e anche ai parlamenti dei Paesi coinvolti, se non a gran parte degli stessi governi, è precluso un accesso integrale alle bozze sugli accordi in ballo, come denunciato da Wikileaks.


La voglia di riscossa americana

Entrambi gli accordi possono essere letti come fasi differenti di un’unica ambiziosa strategia statunitense per la riconquista di una nuova egemonia globale ‘diffusa’contro l’incubo che il mutato quadro dei rapporti di forza a livello internazionale possa marginalizzare sempre di più la potenza americana. 
Da una parte le nuove potenze emergenti del secondo e terzo mondo, quali il Brasile, India, Sud Africa e Messico continuano a crescere e sviluppare il proprio mercato interno, rivelandosi difficilmente controllabili attraverso i vecchi e nuovi forum internazionali, come il G20, e in alcuni casi rafforzando la costruzione di nuove aree commerciali regionali per la prima volta sottratte all’influenza statunitense, come nel caso del MERCOSUR in America Latina a trazione brasiliana. 
Dall’altro lato del pacifico l’asse economico e geo-politico tra il gigante cinese e la Russia si va affermando prepotentemente come epicentro degli equilibri mediorientali e asiatici (la soluzione diplomatica della vicenda siriana, come l’accordo sull’arricchimento dell’uranio in Iran lo hanno dimostrato recentemente) in una graduale scalata al ruolo di leadership globale.
Nella morsa dei nuovi candidati all’egemonia internazionale, con il vecchio partner europeo allo sbando intrappolato nella spirale economica e sociale dell’austerità, lo stanco e frustrato impero statunitense tira fuori le unghie, archiviando di fatto le negoziazioni del mai compiuto Doha Development Round (il regime commerciale che avrebbe dovuto portare a compimento il sistema del WTO avvantaggiando le nazioni povere del terzo mondo) per lanciare una controffensiva senza precedenti con gli strumenti e la piena complicità delle più potenti multinazionali economiche e finanziarie, sulla scorta del programma elaborato per la prima volta dall’Atlantic Council di Washington. 


La prima vera discesa in campo politico delle corporation

Se, infatti, tale iniziativa va iscritta in una strategia di riconquista della scena internazionale da parte dei vecchi padroni del mondo (l’asse USA-Europa-Giappone), essa va inquadrata più ampiamente in un disegno di politica economica mondiale che vede, forse per la prima volta nella storia, il pieno protagonismo politico delle grandi corporation transnazionali, non più confinate a esercitare un’influenza esterna sui centri decisionali internazionali e regionali, ma sedute negli stessi tavoli di negoziazione e trattativa alla pari degli attori nazionali, se non in posizione privilegiata. 
I due trattati si profilano così come la prima autentica costruzione di un’area planetaria di libero mercato costruita a tavolino, per filo e per segno, da un’élite transazionale che supera i confini tradizionali tra Stato e privati, tra governi e interessi aziendali, sottraendosi a ogni controllo democratico.

giovedì 7 agosto 2014

Gli hunza (o buruscio) e i segreti del popolo più longevo del mondo


Gli hunza o buruscio bruscio sono una popolazione che vive nelle valli pakistane settentrionali di Hunza, Nagar e Yasin. Ci sono anche oltre 300 buruscio a Srinagar, India. In questa zona, prevalentemente costituita da musulmani, si parla il burushaski, una lingua non in relazione, a quanto pare, con nessun'altra.
Geneticamente sono in parte vicini alle popolazioni dell'Est Asiatico, facendo supporre che almeno qualcuno dei loro antenati abbia avuto origine nel nord dell'Himalaya.
La popolazione degli hunza non solo vive in media 130-140 anni ma non conosce neppure le nostre tanto temute patologie degenerative, il cancro, malattie del sistema nervoso, ecc.. 
Le donne hunza sono ancora prolifiche anche oltre i novant’anni. Chiaramente per riuscire a concepire a tale età, il loro fisico è ancora piuttosto giovanile e non ha nulla a che vedere con le nostre novantenni. 
I buruscio-hunza contavano circa 10.000 abitanti (almeno fino a qualche decennio fa), sparsi in circa 150 villaggi situati a un'altitudine che oscilla tra i 1660 e i 2450 m. sul livello del mare. La conformazione del territorio rendeva questo popolo abbastanza isolato dai popoli circostanti, a causa delle vie di comunicazione impraticabili e pericolose se non addirittura assenti. 
Gli hunza abitano molto al di sopra della valle omonima, sui loro terrazzi (mesas) spesso fortemente soscesi e impervi, non esenti dal rischio di frane, con strapiombi di 600-900 metri. Dal territorio degli hunza è possibile osservare i vicini nagir separati da un profondo grande canyon che rende ancor più difficile le vie di comunicazione.


I segreti della longevità hunza

Gli strumenti indiscutibilmente più utili alla loro longevità paiono essere il lungo digiuno a cui sono sottoposti ogni anno, l’alimentazione vegetariana e l’acqua alcalina presente nelle loro terre
Gli hunza vivono infatti dei frutti della natura e soffrono anche un lungo periodo di carestia nei mesi invernali. Adottano forzatamente quello che i naturopati definiscono “digiuno terapeutico”. L’altopiano su cui vivono, in Pakistan, è un luogo in gran parte inospitale e non dà raccolto sufficiente per alimentare i 10.000 abitanti hunza per tutto l’anno. Coltivano orzo frumento, miglio, grano saraceno e la verdura da orto: pomodori, cavoli, spinaci, rape, piselli e avevano numerosi alberi di noci e albicocche, ciliegie, more, pesche, pere e melograni. 
Fino a marzo però, quando matura l’orzo, digiunano anche per settimane intere (fino a due mesi in semi digiuno) per poter razionare i pochi viveri rimasti in attesa del primo raccolto. Il bello è che questa “bizzarra” consuetudine, che secondo vecchi concetti di nutrizionismo porterebbe a debolezza, morte e distruzione, al contrario nel corso degli anni ha prodotto nella popolazione straordinarie capacità di vigore. Un Hunza può andare camminare tranquillamente per 200 km a passo spedito senza mai fermarsi. Le forti doti di resistenza sono conosciute in tutto l’oriente, tanto che nelle spedizioni Himalayane, sono assoldati come portatori. 
Anche in molti animali il digiuno è una cosa normale per la sopravvivenza, nei periodi di carenza di prede. In autunno gli stambecchi, camosci e cervi mangiano molto di più per accumulare grasso per l’ inverno, che a causa dell’ altitudine dove vivono, non permette l’ approvvigionamento di cibo sufficiente. Il bello che i violenti scontri che i cervi hanno tra di loro per l’ accoppiamento e la successiva fecondazione avvengono proprio in pieno inverno, quindi praticamente a digiuno, che non compromette, anzi enfatizza le loro energie. Gli uccelli migratori mangiano a fine estate più del fabbisogno e quando partono verso i luoghi più caldi sono talmente grassi da pesare il doppio del normale. Ma durante la migrazione, che può arrivare anche a 5000 km, non si fermano mai e a fine corsa il loro perso ritorna normale. I lupi cacciano per giorni, ma poi possono restare per settimane senza mangiare e nello stesso tempo percorrono grandi distanze per procacciare altro cibo, vivendo con il solo grasso corporeo come del resto quasi tutti i predatori. Anche i pesci digiunano, come per esempio il salmone, che nella sua famosa risalita del fiume non ingerisce nulla, nemmeno nel successivo periodo della posa delle uova. 
In sostanza il digiuno è una condizione che non è quindi nata da 10.000 anni, ma da milioni di anni della storia stessa dell’uomo/animali ed è per questo che apporta molti benefici. 
L’ultimo elemento fondamentale per la forza, e la longevità di questo popolo fu la composizione dell’ acqua. Dopo diversi studi emerse che l’acqua degli Hunza possedeva elevato pH (acqua alcalina), con notevole potere antiossidante ed elevato contenuto di minerali colloidali. Effettivamente come sperimentatore e ricercatore indipendente devo dire che digiunare con acqua alcalina è molto più semplice che digiunare con acqua di rubinetto o imbottigliata. 
L’acidosi metabolica innescata dal digiuno prolungato viene infatti compensata e il ph rimane più stabile. Per quanto riguarda l’alimentazione ho già spiegato che l’unico frutto a mantenere il ph umano stabile è la mela rossa; nel digiuno invece ci si può aiutare bevendo acqua alcalina, acqua con argilla verde ventilata, o facendo lavaggi interni/esterni con acqua e sale integrale. 
Oggi il territorio degli hunza è stato intaccato dalla società “evoluta” e anche lì sono arrivati cibi spazzatura, farina 0 impoverita, zucchero bianco, sale sbiancato chimicamente, ecc… e con loro le prime carie, le prime problematiche cardiovascolari, i primi problemi reumatici che l’Occidente evoluto conosce bene. In pochi sono riusciti a scampare da questo inquinamento “evolutivo” evitando ogni forma di contagio con usanze e abitudini percepite 
ad istinto come innaturali e dannose.