lunedì 30 dicembre 2013

La stufa pirolitica o a pirolisi


La pirolisi è una “omolisi termicamente indotta”, un processo termochimico di decomposizione di materiali organici che avviene in assenza di ossigeno. 
La decomposizione (ad alte temperature) applicata a materiali organici quali i legno e i suoi derivati (pellet, truciolo, etc.) produce gas altamente infiammabili e lascia come rifiuti prodotti simili alla carbonella, quindi ricchi di carbonio.
Il processo, molto interessante come efficienza, viene sfruttato in particolari stufe, dette appunto pirolitiche o a pirolisi.


Il principio di funzionamento e la realizzazione

Se in una stufa si riesce a separare la fiamma dal combustibile (la biomassa), si può ottenere una combustione “pulita”, le cui sostanze di risulta sono vapore acqueo, piccole quantità di monossido di carbonio e infine biochar (il prodotto simile alla carbonella di cui accennato sopra) al posto della cenere. 
Il modo più semplice per ottenere ciò è inserire nella stufa un cilindro metallico ben sigillato che faccia da serbatoio del carburante, con dei fori della misura giusta per rilasciare nella camera di combustione una quantità controllata dei gas ottenuti dall’esposizione della biomassa a temperature elevate (una corretta pirolisi si verifica attorno ai 400° C). 
In una stufa pirolitica, grazie allo sfruttamento della dinamica dei fluidi, il calore prodotto dalla combustione iniziale e la speciale conformazione delle piastre a iniezione innescano il processo. Una volta che questo si è avviato gli speciali ugelli della stufa creano una spirale a vortice (basato sulla geometria di Fibonacci) dal quale esce un gas fatto di idrogeno, metano e monossido di carbonio, e fa da “tappo” impedendo all’ossigeno di entrare nella camera di pirolisi. La fiamma diventa azzurra poiché brucia solo gas. 
Utilizzando del combustibile con un’umidità inferiore al 30%, ad esempio pellet, si può così ottenere una combustione pulita, con un’efficienza attorno al 93% (contro il 7-12% di un fuoco aperto) e con la massima ritenzione di carbonio. 
Le emissioni di monossido di carbonio sono di 66 parti per milione rispetto alle circa 1000 di una comune caldaia a gas. E l’aria degli ambienti interni viene persino filtrata e purificata, dato che viene risucchiata nella stufa passando attraverso i granuli di carbone vegetale ottenuti con la pirolisi.

lunedì 9 dicembre 2013

Oltre la "dieta" del benessere (IV° parte): l'importanza di mangiare (il cereale) integrale

Fondamentale per una sana ed equilibrata dieta basata sui cibi naturali di origine vegetale è l'apporto dei cereali, fonti di carboidrati, ma non solo.
Va subito detto che negli ultimi decenni l'utilizzo dei cereali è stato "malsano", e ha spesso riguardato un numero esiguo di questi, quali il grano tenero, il grano duro e il mais. Questo per l'avvento della "globalizzazione" e dell'industrializzazione del cibo, con la conseguente diffusione in tutto il mondo di cibi quali pizza, pasta, etc. In questo processo, i pochi cereali utilizzati sono stati e sono tutt'ora sottoposti a i continui cicli di lavorazione e raffinazione, nei quali viene asportato dal cereale la buccia, la crusca e il germe. Il risultato finale è la riduzione del potere nutritivo del prodotto finale, la perdita delle fibre (fondamentali per stomaco e intestino, poichè asportatrici di importanti rifiuti altrimenti difficilmente evacuabili) e causa di malattie quali la celiachia e le intolleranze, causate dall'uso eccessivo e sconsiderato delle stesse solite sostanze "morte".
E' perciò buona norma tornare a mangiare integralmente i cereali, creando ricette personali e limitando l'uso dei prodotti industriali. Ed è buona norma tornare a usare un maggior numero di tipi di cereali, alcuni dei quali hanno segnato la sopravvivenza dei nostri avi e che ora sono dimenticati o emarginati per presunte questioni di gusto e abbinamento.
I cereali possono essere consumati crudi, fioccati (il famosissimo muesli), o cotti (pane, pizza, pasta, zuppe). Ottimo è l'abbinamento con i legumi, ove il mix carboidrati/proteine vegetali garantisce l'apporto di molte delle sostanze nutritive di cui abbiamo bisogno.
A seguire è riportata una lista dei principali cereali, ma essa è molto più varia; il consiglio è di informarsi e ampliare la propria gamma di conoscenze e utilizzo alimentare.


Il grano tenero o frumento (Triticum)


Attualmente il frumento è il cereale più coltivato nel mondo. 
Con il nome di frumento si intendono svariate specie di graminacee appartenenti al genere Triticum che furono tra le prime piante ad essere coltivate nell’era Neolitica. Nell’area geografica della mezzaluna fertile (vicino e Medio Oriente). Da questa regione i frumenti si sono evoluti e diffusi in tutti i paesi a clima temperato, del continente eurasiatico e africano e negli ultimi cinque secoli nei continenti di nuova scoperta (Americhe, Australia). 
Le numerose specie di questo genere si sono evolute attraverso complessi meccanismi di ibridazione naturale che hanno portato ad assetti cromosomici molto diversi.
Il frumento dal punto di vista è una specie longidiurna, che avvia i processi di iniziazione fiorale nella stagione in cui i giorni si allungano rapidamente. Il frumento sotto l’aspetto termico è una specie microterma che non necessita di alte temperature per crescere, svilupparsi e produrre. 


Il grado duro (Triticum durum)


Il grano duro si è evoluto piuttosto tardi (IV sec. a.C.) soppiantando il farro in tutta l’area mediterranea e medio-orientale a clima caldo e siccitoso, dove tuttora ha la massima diffusione. Assai recente è l’introduzione del frumento duro negli altri continenti. Il frumento duro nel mondo è coltivato su un’area molto meno estesa del frumento tenero e con impiego prevalente per la preparazione di paste alimentari, previa speciale macinazione che porta alla produzione della semola, anziché di farina.
L’adattamento del frumento duro è meno largo di quello del frumento tenero: meno di questo resiste ad avversità come il freddo, l’umidità eccessiva, l’allettamento e il mal di piede; molto più di questo vede compromessa la qualità della granella da condizioni ambientali improprie. Per quanto riguarda il terreno il frumento duro dà migliori risultati in quelli piuttosto argillosi, di buona capacità idrica, mentre rifugge da quelli tendenti allo sciolto. Il frumento duro è meglio del tenero adattato agli ambienti aridi e caldi, dove riesce a realizzare la migliore espressione di qualità. 


Il mais (Zea mais)


Il mais rappresenta la base alimentare tradizionale nelle popolazioni dell'America latina e, localmente, in alcune regioni dell'Europa e del Nordamerica. Nelle regioni temperate è principalmente destinato all'alimentazione degli animali domestici, sotto forma di granella, farine o altri mangimi, oppure come insilato, generalmente raccolto alla maturazione cerosa. 
È inoltre destinato a trasformazioni industriali per l'estrazione di amido e olio oppure alla fermentazione, allo scopo di produrre per distillazione bevande alcoliche o bioetanolo a scopi energetici.
Esistono varietà di mais bianco o mais biancoperla, mais rosso,mais blu e perfino mais nero. In Italia la coltura è già fiorente a metà del Cinquecento, dove soppianta rapidamente miglio e panico divenendo la base dell'alimentazione dei contadini padani.


L'orzo (Hordeum vulgare)


L’area di origine dell'orzo può essere individuata nel Vicino Oriente, più precisamente nell’area compresa nelle attuali Israele, Giordania, Siria e nella parte sud dell’Anatolia. Secondo altre fonti invece, l'orzo selvatico è originario del Tibet. Tutt’ora in Etiopia e in Tibet si trovano molte specie spontanee. Si tratta con molta probabilità del cereale che per primo sia stato coltivato dall'uomo: le testimonianze più antiche di coltivazione risalgono al 10.500 a.C..
L'orzo è una pianta erbacea annuale, che a maturità può raggiungere un'altezza di 60-120 cm, a seconda delle cultivar.
Rispetto agli altri cereali, come ad esempio il frumento, l’orzo presenta una buona resistenza alla siccità e può sopportare temperature di 38 °C se l’umidità ambientale non è troppo elevata. Più problematiche sono le condizioni caldo-umide che favoriscono varie malattie fungine. Per quanto riguarda l’altitudine può essere coltivato dal livello del mare fino ai 4500 m delle Ande o dell’Himalaya; alle alte latitudini riesce a maturare nelle brevi estati di quelle zone. Resiste molto bene alla salinità del suolo e tollera il freddo anche se in misura minore rispetto ad altri cereali vernini quali il frumento e la segale.


Il grano saraceno (Fagopyrum esculentum)


Il grano saraceno, originario dell'Asia (Manciuria o Siberia), fu introdotto in Europa, attraverso la Russia, nel Medioevo. Oggi è ancora diffuso in Russia, mentre in Europa si limita ad alcune zone della Francia e della Germania. In Italia è presente nelle province di Bolzano e Sondrio. 
Questa pianta è un cereale per la composizione della sua granella che, essendo ricca di amido, viene utilizzata per la produzione di farina panificabile.
Le varietà di grano saraceno si distinguono per la grandezza del frutto, per il suo colore e per la presenza o meno di rugosità. Il grano saraceno è caratterizzato da un accestimento rapido, per cui risulta altamente competitivo con qualsiasi altra pianta, e da una elevata sensibilità alle basse temperature e alla siccità prolungata.


Il miglio (Panicum miliaceum) e panico (Panicum italicum)


Il miglio e il panico presentano caratteristiche morfo-biologiche assai simili. Sono due piante erbacee annuali che raggiungono l'altezza di 1-1,5 metri (maggiore nel miglio). Le origini di queste due piante non sono certe, poiché i popoli antichi spesso le confusero. De Candolle attribuisce loro come patria l'Arcipelago Indiano; qui in Europa si può ritenere che queste due piante venivano coltivate nell'Europa centrale ed orientale già nell'età preistorica.
Il miglio e il panico presentano un ciclo colturale relativamente breve (circa 3-4 mesi) e sono caratterizzate da una prolungata e notevole capacità di accestimento. Resistono alla siccità ed alle elevate temperature, sono invece sensibili al freddo e ai ristagni idrici. 
Il miglio e il panico sono piante tropicali e quindi temono il freddo e l'eccessiva umidità, mentre resistono molto bene alla siccità. Per le loro particolari caratteristiche biologiche queste due specie vengono in genere impiegate come colture intercalari in terreni leggeri e sabbiosi, scarsamente dotati di umidità durante l'intero periodo estivo.


La segale (Secale)


Nel mondo si coltivano 10 milioni di ettari a segale, con una produzione di oltre 20 milioni di tonnellate. La sua coltura è estremamente localizzata ai paesi molto freddi per latitudine o altitudine, grazie alla sua straordinaria resistenza al freddo che ne consente la semina autunnale anche in climi proibitivi per qualsiasi altro cereale.È pianta tipica dei climi freddi e dei terreni sabbiosi e acidi: perciò si trova diffusamente coltivata nei paesi del nord d’Europa e del Canada, Stati Uniti e Giappone.


L'avena (Avena sativa e Avena byzantina)


L'avena, nella classifica delle coltivazioni dei cereali globale, è al settimo posto. Essa si trova ancora soprattutto diffusa nelle regioni meridionali d’Italia dove forse più per spirito di tradizione che di razionalità non cede il posto a cereali che potrebbero convenientemente sostituirla (frumento e orzo). Tuttavia l’avena presenta un innegabile vantaggio, importante, in avvicendamenti sfruttanti: che è meno sensibile del frumento e dell’orzo al mal del piede e alla septoriosi. L’avena, oltre che cereale la cui granella è la “biada” per eccellenza e viene consumata in vario modo anche dall’uomo, è coltura foraggera molto importante sotto forma di erbaio.


Il farro (Triticum)


Farro è denominazione generica attribuita indifferentemente a ben tre specie diverse del genere Triticum, comunemente chiamate “frumenti vestiti”. Fino agli inizi del '900 la loro coltivazione era diffusa in alcune valli dell'Appennino e in diverse zone montane d'Italia; in seguito è quasi scomparsa.  Da alcuni anni il farro è diventato oggetto di una forte ripresa di interesse, per un insieme di fattori concomitanti legati alla riscoperta di cibi tipici e alternativi, a provvedimenti di politica agraria volti a diversificare gli indirizzi produttivi ed al recupero di aree marginali e svantaggiate attraverso forme di agricoltura ecocompatibili, alla accresciuta sensibilità nei riguardi della conservazione di specie agrarie a rischio di estinzione o di erosione genetica. In Italia la coltivazione del farro può contribuire alla valorizzazione di ambienti marginali, attraverso la tipicità e la qualità della materia prima e dei suoi derivati ottenuti da coltivazioni e da attività di trasformazione realizzate in quelle stesse aree, nonché in forza delle opportunità che attività di questo tipo forniscono al recupero di tradizioni e di valori storico-culturali propri di quegli ambienti.


Altri cereali

Altri cereali diffusi e utili all'alimentazione umana sono il sorgo (Sorghum), la quinoa (Chenopodium quinoa) e il kamut (Triticum turgidum)

domenica 8 dicembre 2013

Oltre la "dieta" del benessere (III° parte): l'importanza di (ritornare a) mangiare "selvatico"

Mangiare erbe selvatiche significa mangiare specie non allevate, capaci di crescere e svilupparsi da sole, perciò molto ricche di sostanze nutritive e fibre.
Soprattutto in primavera, i prati sono una grande distesa colorata, fondamentale per gli insetti e per il corso della natura, ma che può essere molto utile anche per noi.
Fiori e foglie di numerose specie sono commestibili, crudi o cotti, e possono cambiare in positivo le insalate, rendendole più saporite, colorate e preziose.

E' però necessario, prima di passare a vedere le principali specie commestibili, dare qualche raccomandazione:
  • Non raccogliere erbe sui bordi delle strade o in parchi frequentati da cani o altri animali; inoltre evitare le strade trafficate o zone dove ci sono fonti d’inquinamento, o dove ci sono campi dove sono stati usati pesticidi o vecchi raccolti che nel suolo potrebbero ancora avere tracce di pesticidi che possano danneggiare le piante e comprometterne la sicurezza.
  • Non raccogliere niente che non si conosce.
  • Cogliere nel modo corretto senza danneggiare le radici in modo che possano poi riprodursi. 
  • Non lasciare l'erba raccolta in sacchi di plastica e non tenetela ammucchiata: a casa distribuire l'erba che non viene consumata subito su fogli di giornale o pannelli di legno, meglio ancora lasciarla seccare al sole. In ogni caso smuoverla frequentemente.
  • Non raccogliere piante malate o ammuffite.


La cicoria selvatica


La cicoria comune (Cichorium intybus), detta anche cicoria amara o radicchio selvatico, raggiunge un'altezza massima di 1,5 m (minimo 20 cm).Le foglie nascono in autunno, durano durante l'inverno, ma si seccano subito alla fioritura successiva, per questo è facile trovare piante con rami a soli fiori. Il colore delle foglie è verde scuro, sulle nervature possono essere soffuse di rosso. 
Della cicoria comune si mangiano le foglie (crude e cotte), i giovani germogli in insalata. 


Il tarassaco comune


Il tarassaco comune (Taraxacum officinale) è comunemente conosciuto come dente di leone o soffione. È una pianta erbacea e perenne, di altezza compresa tra 3 e 9 cm. La fioritura avviene in primavera ma si può prolungare fino all'autunno. 
Del tarassaco si mangiano le foglie, tenere (se trovate delle piante già ben sviluppate con foglie più grosse e dure potete cuocerle) e costituiscono la base di ogni misticanza cruda; si possono anche mangiare i capolini prima che sboccino o addirittura metterli sotto sale o sott'aceto come i capperi.


L'ortica


L'ortica (Urtica) è una pianta erbacea, con altezza tra 10 e 300 cm, annuale, con peli urticanti sul fusto e sulle foglie. E' diffusa ovunque, in boschi e prati, soprattutto su suoli umidi. 
L’ortica ha molteplici usi in cucina, può essere impiegata infatti come verdura cotta, nelle minestre, nei risotti e persino cruda nelle insalate miste. Il periodo ideale per la raccolta è la primavera ma in pratica si può raccogliere da febbraio-marzo quando compaiono i primi germogli fino ad ottobre-novembre quando il freddo la fa morire. Si raccoglie tutta la pianta tagliandola a 10 cm da terra. Quando ormai è fiorita si possono raccogliere le singole foglie. I giovani germogli o le foglie sono impiegati, dopo cottura, per preparare frittate, sformati e risotti; è ottima anche bollita e condita con olio e limone.  


Il topinanbur


Altra pianta comunissima nei fossati e nei terreni pietrosi è il topinambur (Helianthus tuberosus). Il fusto di questo può arrivare fino ad un massimo di 3 metri di altezza, e la varietà è facilmente riconoscibile dai tipici fiori gialli. 
Il topinambur presenta un tubero commestibile dal sapore molto gradevole che può essere consumato sia crudo nelle insalate che cotto, come contorno o aggiunto ai minestroni. I tuberi del Topinambur hanno il pregio di poter essere utilizzati liberamente dai diabetici in quanto non contengono glucosio. 


Le altre specie commestibili

Altre specie molto diffuse e commestibili sono la malva (si mangiano e fiori e le giovani foglie), la borragine (Borago officinalis) (fiori e foglie), il finocchio selvatico (Foeniculum vulgare) (tutta la panta), il crescione (Lepidium sativum) (foglie e germogli), l'alliaria (Alliaria officinalis) (foglie), l'achillea (foglie) e la bardana (radice).

sabato 7 dicembre 2013

Oltre la "dieta" del benessere (II° parte): l'importanza di mangiar (più) crudo


Per incrementare i livelli di benessere, di energia e di vitalità, un modo semplice e naturale 
per farlo e' quello di inserire più cibi crudi nella dieta.


I benefici dei cibi crudi

I benefici derivati dal consumo costante di cibi crudi sono:
  • Più energia; essendo più vivi e più vicini alla loro forma naturale, i cibi crudi forniscono una quantità elevata di energia e contribuiscono a farci sentire più vivi e di buon umore durante la giornata.
  • Digestione migliore; alimenti ricchi di fibra come, verdura, frutta, semi e fagioli (germogliati) migliorano la digestione apportando un certo numero di benefici per la nostra salute, tra cui: il controllo del peso, la salute del sistema cardiovascolare, la salute dell'apparato digerente e molto altri.
  • Perdita di peso; i cibi crudi hanno un basso contenuto di calorie quindi l'integrazione di questi alimenti nella vostra dieta può aiutarvi a perdere peso e a disintossicare l'organismo. 
  • Alto contenuto di vitamine e minerali; alcune vitamine presenti negli alimenti, come ad esempio la vitamina C e i folati vengono completamente distrutti dalla cottura. Senza dubbio, la stessa fine fanno anche i minerali e gli enzimi presenti nel cibi vivi. La cottura trasforma i cibi vivi, alcalini, ricchi di vitamine, enzimi e minerali che aiutano a prevenire varie malattie fra cui anche il cancro, in cibi acidi e morti, privi di (o con basso) contenuto nutritivo che creano terreno fertile per le malattie di cui parlavo prima.
  • Rinfrescano e idratano
  • Producono meno rifiutisi risparmia a livello energetico e si favorisce lo sviluppo di nuove piante.


Modificare la propria dieta

Se non si ha l'abitudine a mangiare crudo (anche solo in piccole dosi), inizialmente si potrebbero sentire dei fastidi derivati dalla disintossicazione del corpo. Per questo è bene inserire gradualmente sempre più cibi crudi nella propria alimentazione.
Ottimi modi per iniziare a incrementare il consumo di cibi crudi sono l'introduzione nel propria dieta di insalate più complete e gustose che inaugurino pranzo e cena e l'ormai famosissimo muesli per la colazione, ricco di frutta essiccata e cereali integrali (preferibilmente accompagnato da frutta fresca, ottima al mattino, poichè velocemente assimilabile).
Mangiare crudo non significa però solo cibarsi di frutta e verdura, ma si tratta piuttosto di scoprire nuovi sapori, accostamenti e ricette. Significa scoprire germogli, erbe selvatiche, tuberi sconosciuti e verdure di ogni tipo, nonchè semi e bacche.


Un mito da sfatare

Al contrario di quanto si possa pensare, mangiare crudo non fa “sentire freddo”. Il concetto che abbiamo di bere o magiare cose calde per riscaldarci è sbagliato. Di certo le cose calde scaldano nei primi minuti, ma dopo poco il corpo, essendo molto più caldo rispetto all’esterno, ci fa sentire anche più freddo di prima.

giovedì 5 dicembre 2013

Oltre la "dieta" del benessere (I° parte): The China Study e T. Colin Campbell


Lo Studio Cina (in inglese The China Study) è uno dei più vasti studi epidemiologici mai compiuti al mondo e la più completa indagine sul rapporto tra alimentazione, condizioni ambientali, tradizioni sociali e malattie mai intrapresa in Cina.
Lo studio è stato diviso in due fasi distinte e separate: una prima indagine ha avuto inizio nel 1983, una seconda indagine è stata intrapresa nel 1989. La disponibilità di dati affidabili su malattia e mortalità forniti dal governo cinese e la presenza di una popolazione stabile con caratteristiche alimentari molto diverse ha reso la Cina un laboratorio vivente ideale per studiare l’impatto di diversi tipi di alimentazione su malattia e mortalità.
I ricercatori del progetto hanno osservato come malattia coronarica, ictus e ipertensione, cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi, principali responsabili di morti premature nei paesi occidentali, in Cina, dove il consumo di prodotti animali era fino a poco tempo fa molto scarso, avevano bassa incidenza, confermando la relazione tra questa classe di patologie e l'assunzione di cibi animali, a sua volta collegata al livello di sviluppo economico. L'evidenza scientifica emersa dallo Studio Cina suggerisce che la concezione occidentale di dieta sia da rivedere radicalmente, e che un'alimentazione basata sui vegetali, come la dieta tradizionale cinese, può offrire molti vantaggi per la salute.
Nel 2005 è stato pubblicato il libro omonimo The China Study, basato sui risultati del Progetto Cina, nel quale l'autore, il dottor T. Colin Campbell, responsabile della ricerca e direttore USA dello Studio Cina, esamina la relazione tra cibo e malattie cardiovascolari, cancro e diabete e la possibilità di ridurre il rischio di contrarre queste patologie o arrestare e invertire un loro sviluppo in corso attraverso l'alimentazione.


Qualche risultato concreto

I ricercatori del progetto hanno definito polmonite, tubercolosi, malattie infettive, parassitosi, eclampsia, cancro dello stomaco e del fegato come Malattie della povertàmentre malattia coronarica, ictus e ipertensione, cancro della mammella, della prostata e del polmone, diabete e osteoporosi sono state definite Malattie dell'abbondanza. Queste ultime sono le principali responsabili di morti premature nei paesi occidentali, mentre lo studio ha rilevato che in Cina avevano bassa incidenza, confermando la relazione tra questa classe di patologie e l'assunzione di cibi animali (grassi e proteine in primis), a sua volta collegata al livello di sviluppo economico. 
Le malattie dell'abbondanza risultarono infatti essere più diffuse tra la popolazione cinese benestante residente nei pressi delle grandi città come Nanchino, Pechino e Shanghai, che seguiva una dieta ricca di cibi animali e povera di cibi vegetali. 
L'assunzione di anche solo piccole quantità di prodotti animali risultò in grado di aumentare significativamente i rischi di malattia coronarica, cancro e diabete, mentre è stato osservato che maggiore era la percentuale di prodotti vegetali assunti, minore era il rischio di essere soggetti alle stesse malattie.
L'evidenza scientifica emersa dallo Studio Cina suggerisce che la concezione occidentale di dieta sia da rivedere radicalmente, e che un'alimentazione basata sui vegetali, come la dieta tradizionale cinese, può offrire molti vantaggi per la salute: i dati emersi dallo studio hanno infatti evidenziato come la dieta della maggior parte dei cinesi che vivevano in zone rurali comprendeva solo 4 grammi di proteine animali al giorno, contro i 71 grammi della dieta occidentale. 
Lo Studio Cina permette anche di comprendere come l'influenza dell'alimentazione occidentale potrà incidere sulla salute della popolazione cinese. Al termine dello studio, il dottor T. Colin Campbell e i suoi colleghi cinesi, hanno avvisato i responsabili delle politiche della Cina e la Banca Mondiale di non incoraggiare la crescita dell’industria del bestiame.

lunedì 18 novembre 2013

L'Earth Overshoot Day e la sua precocità. Una pietra miliare sui nostri colli.


L’Earth Overshoot Day, un’idea sviluppata da partener Global Footprint Network (un’organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di ricerca sulla sostenibilità ambientale con collaboratori sparsi tra Stati Uniti, Australia, Europa e Giappone) e da un gruppo di esperti del new economics foundation del Regno Unito, è il momento dell’anno in cui iniziamo a vivere oltre le nostre possibilità
In realtà è una stima approssimativa del trend del tempo e delle risorse, è come uno studio della misura del gap tra domanda di risorse ecologiche e servizi rispetto a quanto il pianeta possa metterci a disposizione.
Il giorno del “superamento” si ottiene confrontando le risorse terrestri con il consumo che ne viene fatto, utilizzando quest’equazione: (capacità biologica mondiale/consumo ecologico mondiale, moltiplicato per 365). La data che si ricava potrebbe, infatti, variare di qualche giorno in base ad alcune revisioni di calcolo.

Nel 2013 la data dell'Earth Overshoot Day è il 20 Agosto. Questo significa che da quel giorno in poi stiamo vivendo oltre il limite. Da questa data aumentando il nostro debito ecologico prelevando stock di risorse ed accumulando anidride carbonica in atmosfera.

Col passare degli anni la data dell'Earth Overshoot Day è sempre più precoce e ormai punta verso la metà dell'anno.

Secondo il Global footprinter network, per soddisfare la domanda e il consumo di risorse la Cina dovrebbe avere a disposizione uno spazio pari a due volte e mezzo quello attuale
Non è però l’unica “colpevole”. 
Altri Paesi industrializzati non sono da meno: noi italiani consumiamo risorse ecologiche pari a 4 volte le capacità del territorio su cui viviamo; la Svizzera 4 volte e mezzo; il Qatar 6 volte; il Giappone 7. Oltre l’80% della popolazione mondiale vive in nazioni che utilizzano più di quanto i loro ecosistemi possano produrre in modo rinnovabile. La situazione è insostenibile.

In termini planetari, il costo dell’eccesso di spesa ecologica sta diventando più evidente di giorno in giorno. Il cambiamento climatico, cioè il risultato dell’emissione di gas climalteranti sempre più veloce della capacità di assorbire di foreste ed oceani, né è il risultato più evidente e probabilmente il più preoccupante. Ma ne esistono altri: la riduzione delle foreste, la perdita delle specie viventi, il collasso della pesca, i prezzi sempre più alti delle materie prime, i disordini civili, solo per citarne alcuni. La crisi ambientale ed economica che stiamo vivendo è il sintomo di una imminente catastrofe.

venerdì 18 ottobre 2013

Meno consumi e più confort per la propria casa: la serra bioclimatica


La serra bioclimatica è una tecnologia passiva per il controllo dei flussi termo igrometrici attraverso l’edificio e serve principalmente per migliorare le condizioni di comfort abitativo e la diminuzione dei consumi energetici.
Si tratta di uno spazio vetrato collocato vicino all’edificio. In alcuni periodi dell’anno è possibile abitarci. Contribuisce al riscaldamento e al raffrescamento.
L’utilizzo è diverso a seconda della quantità di energia solare ricevuta per la collocazione geografica. L’unico rischio è che queste strutture diventino dei catalizzatori di energia solare nella stagione calda. E’ quindi importante dotarli di schermature solari.

Esistono tre tipi fondamentali di serre bioclimatiche:
- serra a guadagno diretto: questa tipologia è a diretto contatto con l’abitazione. La superficie di separazione fra gli ambienti è mobile. Il guadagno termico avviene direttamente.
- serra a scambio convettivo: Lo scambio avviene per convezione tra la serra e l’abitazione. Avviene attraverso bocchette regolabili poste nella parete collocata tra serra e abitazione.
- serra a scambio radiante: La parete divisoria fra gli ambienti funziona come accumulatore di calore. Lo scambio avviene per radiazione grazie alle differenze di temperatura fra i due ambienti.


Funzionamento invernale diurno

Il compito che deve assolvere una serra bioclimatica durante il giorno nelle giornate invernali è quello di immagazzinare più energia solare possibile.
Ovviamente la quantità di energia solare raccolta dipenderà molto dalla latitudine e dalle condizioni atmosferiche.
I maggiori risultati si riscontrano in condizioni di radiazione diretta sulla superficie vetrata. Se si dispone di una serra trasparente sufficientemente isolata, anche in condizioni meteo non ottimali, si potrà avere un contributo energetico positivo.
Per le serre a guadagno diretto una volta raggiunte le temperature di 19 – 20°C si avrà uno scambio termico positivo. Se comunque non si raggiungono le temperature desiderate la serra contribuisce alla diminuzione di dispersioni con l’esterno, sfruttando l’effetto tampone, a patto che tutti i serramenti siano ben chiusi.
Anche per le serre a scambio connettivo si avrà lo scambio d’aria una volta raggiunta la temperatura ottimale. In questo caso ci saranno ventole collegate ad un termostato che regoleranno l’apertura  delle bocchette che contribuiscono allo scambio di calore.
Le serre a scambio radioattivo hanno una regolazione approssimativa. La parete di accumulo, quella maggiormente esposta alle radiazioni solari, emette radiazioni infrarosse al locale contiguo quando questo ha una temperatura più bassa.


Funzionamento invernale notturno

In inverno durante la notte le serre bioclimatiche devono minimizzare le dispersioni di calore all’esterno.
Si devono quindi utilizzare per la realizzazione della serra bioclimatica vetri e serramenti che minimizzano le dispersioni; in più è bene fornirle di tende e pannelli rimovibili.
Per le serre a guadagno diretto si dovrà isolare l’involucro trasparente. Questa tipologia di serre è integrata con la casa, quindi si potranno utilizzare tende o pannelli quando non ci sono raggi solari.
Per le serre a scambio connettivo basta interrompere lo scambio chiudendo le bocchette presenti nelle pareti.
Per le serre a scambio radiante si deve utilizzare un isolante mobile da collocare sulla parete che contribuisce all’accumulo dal lato della serra. Ciò serve per evitare dispersioni termiche e contribuisce a sfruttare anche nelle ore notturne l’energia immagazzinata durante la giornata.


Funzionamento estivo diurno

Le serre bioclimatiche sono utilizzate principalmente nei mesi invernali per accumulare calore; e la maggior parte sono in diretta comunicazione con le abitazioni. Si dovranno predisporre dei sistemi oscuranti che impediscano ai raggi solari di colpire la superficie vetrata. In più si dovrà predisporre anche un buon sistema di aerazione per prevenire il verificarsi dell’effetto serra.


Funzionamento estivo notturno

Durante la notte si deve garantire la massima dispersione energetica verso l’esterno. Si dovranno creare moti d’aria interni mediante le aperture dell’edificio in maniera tale da garantire un effetto raffrescante.


Normativa italiana in merito alle serre bioclimatiche

In Italia realizzare serre bioclimatiche può creare diversi problemi a livello normativo.
Prima di tutto ci sono problemi con le normative comunali. In sintesi la serra bioclimatica per normativa viene considerata come volume abitabile da inserire nel computo dell’edificato. 
Dovrebbe essere considerato, a fronte di particolari requisiti prestazionali, come un locale tecnico utile al risparmio energetico.
Ci sono anche problemi per quanto riguarda le normative igienico – sanitarie. I locali che si affacciano sulla serra non rispettano i requisiti di illuminazione e ricambio d’aria previsti per legge. Si può ovviare al problema fornendo tali locali di fonti di illuminazione e di ricambio d’aria alternativi.
In ultimo esistono anche problemi per ciò che concerne la normativa di controllo architettonico. Ci saranno problemi nel realizzare serre bioclimatiche in presenza di 
vincoli paesaggistici e ambientali. Il tipo di ristrutturazione deve essere conforme al contesto nel quale si inserisce. Anche in questo caso c’è la possibilità di ovviare a questo problema attuando delle modifiche progettuali a norma.

lunedì 14 ottobre 2013

Albert Howard e la sua chiave per la sopravvivenza dei popoli: il mantenimento della fertilità de suolo


Albert Howard ha lavorato in India per il governo britannico come consulente agricolo e come capo di una azienda agricola di ricerca governo a Indore
Howard, mandato dall'Inghilterra per istruire il governo indiano sulla "corretta agricoltura", osservò invece che le pratiche agricole tradizionali indiane erano molto più evolute di quelle occidentali. Egli scoprì che gli indiani avrebbero potuto insegnargli molto (e non viceversa). Vedette e constatò che il sistema orientale si basava sul totale riciclo degli scarti (delle potature, delle colture a termine del loro ciclo, delle deiezioni animali), spesso considerati rifiuti nel mondo occidentale, arricchendo lo strato fertile del terreno e permettendo un'agricoltura sostenibile e a futuro illimitato. Capì che l'agricoltura indiana, su piccola scala e con poche risorse, era meno costosa e più produttiva della monocultura occidentale, succhia-risorse e basate sui fertilizzanti chimici.
Un elemento importante su cui Howard soffermò la sua attenzione fu la connessione tra terreno sano e popolazioni sane, e tra bestiame e la coltivazione dei villaggi.
Dopo anni di studio e lavoro elaborò un sistema di impresa capace di collegare tutti i settori e gli elementi di un'impresa agricola, da quelli vegetali a quelli animali. Egli sosteneva la re-introduzione nel suolo degli elementi sottratti nella colture, utilizzando tutto gli scarti aziendali. Per tutta la sua carriera (e la sua vita) si impegnò nello studio del mantenimento della fertilità del suolo e i modelli innovativi da lui proposti (circa il compostaggio, la rotazione delle colture, i sovesci,..) furono tutti verso questa direzione. 

Howard è considerato in occidente il padre del compostaggio moderno, grazie alla redditività 
e alla raffinatezza del sistema di compostaggio studiato e realizzato ad Indore.
In tutta la sua vita lavorativa ha continuato a documentare e sviluppare tecniche di agricoltura biologica, e a diffondere la sua conoscenza nel Regno Unito tramite la Soil Association e negli Stati Uniti tramite il Rodale Institute in USA. 
I suoi concetti e le sue memorie furono raccontati nel 1940 nell'opera "An Agricultural Testament " (I diritti della Terra), che è tutt'ora un classico circa l'agricoltura biologica.


La biografia di Albert Howard


Albert Howard si è laureato nel 1896 in Scienze Naturali all'Università di Cambridge, dove ha anche conseguito il Diploma di Agricoltura nel 1897. 
Dal 1899 1899 e 1902 è stato micologo e docente di Agraria presso il Dipartimento Imperiale di Agricoltura per le Indie Occidentali. 
Dal 1903 al 1905 è stato Botanico al collegio sud-orientale agricolo, Wye, e dal 1905 al 1924 è stato botanico economico imperiale nel governo dell'India. 
Nel 1914 ha ricevuto una medaglia d'argento dalla Royal Society of Arts nel 1920. 
Dal 1924 al 1931 Howard è stato Direttore dell'Istituto di Plant Industry, Indore, e consulente agricolo di membri in India centrale e Rajputana. 
Fu nominato membro della Royal Asiatic Society nel 1928, e nel 1930 ha ricevuto la Barclay Memorial Medal di quella società. Fu nominato cavaliere nel 1934.